Manildo battuto in casa «Nel 2018 sarŕ diverso» - La tribuna di Treviso

06 dicembre 2016

Pagina 16, Primopiano

TREVISO Come luogotenente di Renzi Giovanni Manildo, big del Pd e anima del fronte dei sindaci, ha incassato una sconfitta bruciante. Ma il sindaco Manildo fa quadrato sull’amministrazione comunale: nessuna proiezione dell’esito referendario sul piano politico e amministrativo. E anzi, già a caldo il primo cittadino ha ribadito la sua linea: massima concentrazione sui 18 mesi da qui a fine mandato, ricandidatura nel 2018, con una coalizione ancor più allargata, se possibile. «Pensiamo ad amministrare bene, altro che referendum», avverte un big della coalizione Si fa già strada l’ipotesi di una civica del sindaco, e di un’immagine che allarghi il suo ruolo di luogotenente di Renzi, adesso che il premier è sceso (ma non fuori dall’agone) e non si sa come finisca la sua leadership nel partito. Significativo che ieri il sindaco non abbia voluto rilasciare dichiarazioni, dopo le parole a caldo nella notte del ko referendaria, fin nel capoluogo. E c’è chi ipotizzava – non da ieri, per la verità – anche il ticket con Paolo Camolei vicesindaco nel 2018, al posto di Roberto Grigoletto, candidato a Roma. Ma ora scadenze e programmi possono cambiare. Lo choc del Pd trevigiano si incrocia adesso con la giunta Manildo. Ma tutti vogliono tenere ben distinti i piani. Anche Sel, l’unico vincitore di domenica a Ca’ Sugana. Che però avverte: «Il voto dimostra che quando la sinistra tenta di imitare la destra, si sfracella, e questo riguarda anche la città», parole del portavoce Renato Zanivan. E peraltro hanno votato no, in maggioranza, pezzi di Treviso Civica, di Impegno Civile, dello stesso Pd. Non solo i consiglieri Nieri e Caldato, fra i Dem, forse anche i giovani Pelloni e Cimetta. «Non c’è alcuna correlazione, chi mescola le due cose si sbaglia di grosso», dichiara Grigoletto, «L’amministrazione deve continuare a governare» .«Non esiste alcun tipo di riverbero del voto di domenica, Manildo è il sindaco ed è bene che si ripresenti, con tutto il nostro sostegno», fa sapere Domenico Zanata, referente di Sinistra civica. Così la palla torna al Pd. Il primo a sbilanciarsi è lo stesso Grigoletto: «Il voto non deve fermare la battaglia riformista, certo serve un nuovo impegno». La segretaria provinciale Loren Andretta premette di «rispettare «la scelta di chi ha detto no», riconosce il valore «dell’alta partecipazione al voto», e ammette che la modifica della Costituzione «è tema delicatissimo, difficile da spiegare». Ma attacca Zaia e Lega, ovvero chi «ha puntato sul no in chiave autonomista, in vista dell’altro referendum», e chi «ha usato temi sensibili: l'accoglienza ai migranti, la presunta sudditanza verso l'Europa che usa l'Italia e impone misure fastidiose agli occhi dei più, come argomenti contro il Governo. Ma governare significa anche prendere provvedimenti non sempre graditi ai cittadini o accogliere istanze in misura inferiore alle aspettative degli interessati». Di qui l’invito al partito perchè «si discuta ora su cosa fare per il futuro del partito e per riparlare ai cittadini allontanatisi dal Pd, non ennesime rese dei conti interne che non giovano a nessuno». L’onorevole Simonetta Rubinato, invece, punta il dito sugli errori di Renzi. «Pensava di vincere da solo contro tuttti, con testimonial lontani dalla vita reale della gente, e ha caricato la riforma di un giudizio sul governo», spiega, «non è stato un voto pro Lega o 5 stelle, o pro Fi e Berlsuconi». E aggiunge: «Da un lato non è stata gradita una riforma troppo corposa e difficile, dall’altro si è riflessa rabbia, protesta». Ha pesato la crisi delle popolari e la percezione che la riforma non toccava le regioni speciali, attenuando invece le competenze del Veneto». Andrea Passerini 

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pubblicata il 06 dicembre 2016

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