Una riflessione sull'Ilva di Taranto

21 agosto 2012

ilva_tarantoCome mi ha detto l’amico Paolo Giandon, funzionario dell’Arpav della Regione Veneto e consigliere comunale del Pd di Conegliano, sviluppo sostenibile non vuol dire rinunciare ai processi industriali perché sempre e comunque inquinanti, ma vuol dire piuttosto far evolvere i processi industriali, insieme a quelli civili e sociali, verso soluzioni che comportano impatti accettabili per la salute e l'ambiente.
 
Da quanto sta emergendo dal lavoro dei magistrati, a Taranto da troppi anni l'obiettivo della progressiva riduzione degli impatti ambientali non è stato per nulla perseguito, non solo per responsabilità del privato gestore degli impianti produttivi, ma anche per mancanza di un serio interlocutore pubblico in grado di fare adeguati controlli ed esigere puntuali e tempestivi adeguamenti alla normativa che a sua volta nel tempo si è evoluta. E la stessa magistratura, cui va dato atto di aver mosso finalmente le acque stagnanti di perdurante comportamenti illeciti per non dire criminali, forse per troppo tempo è stata anch’essa a guardare.
 
Se la possibilità di verificare la fattibilità tecnica di continuare a tenere aperto l’impianto in condizioni minime di sicurezza ambientale e sanitaria disposta dal Tribunale del riesame è opportuna, perché non manchi il bene primario del lavoro e della sussistenza per migliaia di famiglie, è necessario siano poste dai custodi giudiziari e dalle istituzioni competenti condizioni ferme e con scadenze non procrastinabili per il sicuro rispetto delle norme ambientali, sia per quanto riguarda l'attuale emissione di sostanze inquinanti, sia per il risanamento delle matrici ambientali già pesantemente contaminate per effetto delle attività industriali del passato. E per la parte di responsabilità che ricadono anche sullo Stato, che per molti anni ha gestito gli impianti, devono essere trovate le risorse pubbliche per provvedere al risanamento, così com'è stato fatto per molti altri siti industriali in altre parti d'Italia. Ferma restando la primaria responsabilità della proprietà dell’azienda.

La vicenda ci ammonisce che dobbiamo cominciare a ragionare in modo diverso che dal passato quando parliamo di Pil e di crescita. Attività economiche che producono i danni che stiamo conoscendo a Taranto possono essere contabilizzate interamente nella crescita della ricchezza del Paese? In realtà hanno creato esternalità negative ingenti a carico delle presenti e delle future generazioni, di cui il Pil ed un concetto di crescita puramente materiale non tengono in alcun conto, falsando la stessa contabilità economica, e non solo quella della qualità della vita e del benessere delle persone.

Può essere dunque proprio questa l’occasione buona per aprire una profonda riflessione sull’idea di crescita e sul tipo di sviluppo che vogliamo per il nostro Paese, oltre che per l’Europa. Sull’importanza della ricerca e dell’innovazione tecnologica come volano di una crescita sostenibile e duratura. Anche dell’innovazione sul piano degli strumenti finanziari adeguati a reperire le risorse necessarie a ripristinare nei prossimi decenni quei beni comuni (come l’acqua o l’aria, ad es.) che costituiscono dei veri e propri asset di capitale ambientale che oggi non consideriamo nella contabilità nazionale, ma che sono e saranno indispensabili per garantire la sopravvivenza della stessa economia e della prosperità alle future generazioni nei secoli a venire. Occorre così ad es. ripensare la stessa distribuzione del carico fiscale (da alleggerire a carico delle attività che creano esternalità positive e da aumentare a carico delle attività che creano esternalità negative, incentivando così anche il finanziamento della ricerca nella green economy) e pensare all’emissione di obbligazioni verdi per finanziare investimenti nel campo ambientale. Mi piace molto anche la proposta di Attali che nel libro “Come finirà?” suggerisce al governo italiano di dividere il proprio bilancio in tre sezioni distinte: una per la spesa corrente, una in cui accumulare un deposito risarcitorio per i danni che causiamo alle generazioni future, ed una, infine, per istituire un fondo di investimenti nazionali che finanzi le spese pubbliche di cui gioveranno anche i posteri.  

Ps: forse è necessaria anche una integrazione della nostra Carta Costituzionale in funzione della tutela delle future generazioni. Se ci fate caso, infatti, la parola ‘ambiente’ è usata nella Carta solo una volta e non tra i principi fondamentali, ma solo nella distribuzione dei compiti legislativi tra Stato e Regioni all’art. 117.

pubblicata il 21 agosto 2012

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