In Aula la discussione e approvazione del Rendiconto generale dello Stato 2011 e dell'assestamento del bilancio dello Stato 2012

24 settembre 2012

bilancio_statoQuesta settimana al centro dei lavori in Aula la discussione e approvazione del Rendiconto generale dello Stato 2011 e dell’assestamento del bilancio dello Stato 2012.
 
L'esame del rendiconto è avvenuto per la prima volta secondo le regole stabilite dalla nuova legge di bilancio, che hanno consentito alle Camere di svolgere un controllo più efficace e puntale sulla gestione finanziaria e sul conseguimento degli obiettivi di bilancio dei singoli comparti dell'amministrazione.
 Le diverse Commissioni hanno avuto tempo e modo di esprimersi sulle note integrative del rendiconto che riguardavano le loro materie e la Commissione Bilancio ha avuto modo di svolgere un'indagine conoscitiva sull'argomento confrontandosi col Presidente della Corte dei conti e con i responsabili dei nuclei di valutazione della spesa istituiti presso i singoli ministeri.


I dati contenuti nel rendiconto descrivono un Paese che già nel 2011, e prima del Governo Monti, aveva cominciato a fare sacrifici, per migliorare i propri fondamentali. Nel 2011 l'indebitamento delle pubbliche amministrazioni è sceso al 3,9 per cento del PIL (era il 4, 6 l’anno precedente) e il saldo primario è tornato in avanzo per oltre 15 miliardi (cioè l'1 per cento circa del PIL contro lo 0 per cento - cioè nulla - dell'anno precedente), nonostante una situazione economica che nel 2011 registrava già il primo appannamento: l'anno si chiude con una crescita del PIL di appena lo 0,4 per cento, rispetto ad una crescita dell'1,5 per cento dell'area euro. Tale miglioramento ha riflettuto una tendenza che ha riguardato tutti i principali Paesi dell'Unione Europea, ma dopo la Germania questi sono i risultati migliori che un Paese abbia ottenuto in Europa sui dati di bilancio, di economia e di finanza.

Ciò significa anche che la riduzione della spesa pubblica e l'aumento della pressione fiscale necessarie a centrare gli obiettivi di bilancio in tempi brevi non sono stati prerogative del Governo Monti, ma anche del Governo Berlusconi-Tremonti.
 E anche gli effetti recessivi di queste manovre, che oggi in molti tra quelli che sono stati protagonisti delle scelte di politica economica del precedente Governo vorrebbero addossare per intero al governo attuale, vanno invece assolutamente condivisi.
Proprio esaminando questo rendiconto, la Corte dei conti ha stimato la percentuale d'impatto delle varie manovre sui conti; e ha affermato che sui saldi del 2011 l'effetto delle manovre dello stesso anno (quelle più dure) si riverbera soltanto per il 18 per cento. Questo vuol dire che la maggior parte della manovra più impattante del vecchio governo, quella dell'estate dello scorso anno, sta riverberando i suoi effetti in questo 2012.  Quelli che oggi – come la Lega Nord - criticano il governo Monti per la recessione in corso farebbero dunque bene a prendersela con loro stessi.
 La pressione fiscale è aumentata soprattutto negli anni in cui hanno governato Berlusconi e Tremonti. 
Onestà vuole che si riconosca che il vecchio governo (per la spinta dell'Europa) e il nuovo governo (con più autorevolezza e credibilità internazionale) hanno fatto soltanto ciò che era indispensabile fare perché altrimenti il nostro debito pubblico sarebbe stata la palla al piede che ci avrebbe fatto sprofondare nell'abisso del default o nel disastro della Grecia.
 Con questo spirito abbiamo votato il rendiconto del 2011, quindi il rendiconto del precedente governo.

Peraltro non si può non esprimere preoccupazione perché, nonostante il miglioramento dei saldi in termini di competenza, in termini di cassa tutti i saldi risultano peggiorati.
 Nel rendiconto del 2011 è scritta la sentenza più chiara sull'inutilità dei tagli lineari di Berlusconi e di Tremonti. 
Il rendiconto dello Stato e le audizioni della Corte dei conti su questo documento, infatti, testimoniano che i tagli lineari, contenuti nei provvedimenti adottati dal 2008 al 2010, hanno ridotto sì la spesa pubblica, ma contraendo del 29 per cento la spesa in conto capitale (quella che serve allo sviluppo) e soltanto del 2 per cento quella corrente (spesso improduttiva).
 I tagli lineari, che tante volte abbiamo contestato in passato, hanno ridotto dunque soprattutto la spesa per la crescita, quella in conto capitale; e poi, la spesa per l'istruzione che si è contratta del 2,8 per cento, per l'università (ridotta del 5,5 per cento) e per l'ambiente. Hanno prodotto effetti, infine, specialmente attraverso la contrazione dei trasferimenti agli enti locali e degli investimenti da parte di questi ultimi, nonché dei trasferimenti alle famiglie e alle istituzioni sociali private.
 Inoltre bisogna rilevare che la diminuzione della spesa primaria corrente è stata mangiata da un andamento per interessi passivi che ha assorbito quasi il 40 per cento della riduzione della spesa. Peraltro, lo stesso andamento delle entrate è stato positivo, con l'1,7 per cento, ma rispetto ad un'attesa del 2,7 per cento.
 In questo quadro, però, abbiamo segnali positivi, lo dice anche la Corte dei Conti. Vi sono ora in prospettiva prelievi strutturali e non una tantum ed è stata cancellata dalla manovra Salva Italia l'abitudine cattiva di scrivere nei bilanci le entrate attese dalla cosiddetta lotta all'evasione fiscale, perché correttezza contabile vuole che quei dati si inseriscano quando si hanno i risultati, perché altrimenti diventano delle speranze e spesso delle illusioni, come è capitato negli anni precedenti, drogando i dati del bilancio stesso.
Permangano inoltre problemi rilevanti sulla gestione dei residui della pubblica amministrazione, come ha rilevato la Corte dei conti.


Con l'approvazione del rendiconto si apre la sessione di bilancio e dunque i problemi evidenziati nel rendiconto devono essere temi di impegno per il futuro.
Per esempio: l'insuccesso dei tagli lineari indica la necessità di proseguire sulla strada intrapresa dal Governo Monti della revisione della spesa, per separare la spesa improduttiva da quella per la crescita. Ma anche la necessità di attuare il processo del federalismo determinando rapidamente i costi standard di tutte le funzioni fondamentali degli enti locali, per legare autonomia e responsabilità, introdurre effettivi controlli e sanzioni certe. 
Per correggere la gestione dei residui e la dimensione dei debiti della PA recependo la direttiva dell'Unione Europea sui pagamenti.

La situazione del Paese descritta nel rendiconto, ma soprattutto quella che ognuno di noi percepisce nella sua esperienza quotidiana, deve essere l'occasione per pensare insieme al futuro facendo le riforme per consegnare ai nostri figli un Paese migliore. Ora bisogna mettere mano alla crescita, anche per affrontare un problema di equità sociale che si è fatto drammatico.

È una strada in salita per un paese che cresceva poco anche prima della crisi, che ha sempre rimandato le riforme necessarie ad accrescere il suo grado di competitività ed il livello di efficienza e di produttività delle sue aziende.
 È una strada in salita per un Paese che da tempo ha rinunciato ad avere una sua politica industriale, come dimostrano i casi del Sulcis, dell'Ilva e più recentemente ancora dell'industria automobilistica.
 È una strada in salita soprattutto perché non ci sono e non ci saranno risorse sufficienti per stimolare la crescita, per incentivare i consumi privati e gli investimenti da parte delle imprese, per manovre espansive dal lato della spesa in infrastrutture materiali e immateriali.
 E proprio perché è una strada in salita, non è il tempo degli annunci impossibili (riduzione delle tasse, IMU) o di ostacolare le riforme (magari raccogliendo le firme per cancellarne qualcuna).
 Occorre spendere meglio le risorse dello Stato.
 Attraverso la spending review, per liberare risorse utili a ridurre la pressione fiscale.
 Attraverso la riforma degli incentivi alle imprese, verso un sistema più automatico di crediti d'imposta.
 Attraverso la riforma fiscale e la revisione delle agevolazioni e delle tutele, perché chi ha redditi più elevati possa acquistare le tutele che invece vanno assicurate a chi non potrebbe acquistarle.
 Attraverso il riordino dei livelli di governo (non solo delle province). 
L'armonizzazione della disciplina del lavoro pubblico e di quello privato, la finalizzazione della Strategia Energetica nazionale (costo energia) l'internazionalizzazione delle nostre imprese e l'attrazione di IDE. 
L'agenda digitale, per ammodernare Io Stato e velocizzare tutti i rapporti.
 Si tratta di tante cose da fare, alcune difficili, alcune impopolari, che solo un governo autorevole potrà fare.

Quanto all’approvazione dell’assestamento del bilancio dello Stato e ai suoi contenuti vi rinvio alle dichiarazioni di voto dei Colleghi Maino Marchi (PD) (clicca qui) e Amedeo Ciccanti (UDC) (clicca qui).
 
 

pubblicata il 22 settembre 2012

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