Nuove proposte: Commercio Equo e Solidale

23 dicembre 2014

Poco meno di settanta parlamentari hanno sottoscritto una proposta di legge per la promozione del commercio equo e solidale in Italia.
Cinque milioni di produttori, duecento organizzazioni importatrici, tremila botteghe del mondo in venticinque Paesi dell'Unione Europea e centomila volontari. Questi i numeri del commercio equo e solidale, caratterizzato da un prezzo equo e da una marcata tutela del territorio, al fine di eliminare pratiche discriminatorie nel mondo del lavoro, in particolare per la voce salari e stipendi. Una tipologia che sembra opporsi alle grandi economie di scala della GDO, ossia della Grande Distribuzione Organizzata, e alla massimizzazione del profitto.
Dati significativi, se si pensa che a livello mondiale il fatturato dei prodotti certificati 'Fairtrade' è passato da 238 milioni di euro a 4,36 miliardi di euro in meno di dieci anni, partendo dal 2001, secondo la fonte Fairtrade International. Così significativi che in Italia, con la Germania e la Francia in testa alla classifica dei Paesi europei, si è sentita la forte esigenza di regolarizzare mediante un'apposita normativa il commercio equo e solidale. Prima firmataria della proposta di legge -'Disposizioni per la promozione del commercio equo e solidale e la disciplina del suo servizio'-, l'Onorevole Simonetta Rubinato.

Onorevole, la proposta di legge di cui è firmataria, nasce dall'analisi del contesto socio-economico sia dell'Unione Europea che dell'Italia, dove questo tipo di commercio ha un ruolo sempre più importante nello sviluppo economico.
È vero che il commercio equo e solidale nasce da una costola della cooperazione internazionale e che la sua attività in origine era limitata a relazioni commerciali con i produttori di quelli che chiamavamo 'Paesi in via di sviluppo', ma nel tempo le soluzioni affinate dalle organizzazioni di commercio equo e solidale sono divenute un vero e proprio modello, replicabile e da replicare anche in Italia per le nostre filiere: finalità di sviluppo non limitate al lucro di un soggetto (il più forte ovviamente); prassi commerciali coerenti con quel fine; partnership paritarie e di lungo periodo; filiere monitorate, presidiate da organizzazioni dedicate e da marchi riconosciuti. D’altra parte già oggi in Italia proprio le organizzazioni di commercio equo sono quelle che offrono un canale distributivo alle filiere italiane più fragili.

L'Italia è la terza, in termini di diffusione della rete commerciale del commercio equo e solidale, solo dopo a Paesi quali la Germania e la Francia. Come definirebbe questo risultato?
Non ho aggettivi particolari. Semplicemente penso che sia un buon risultato e la cartina al tornasole della vitalità dei movimenti sociali in Italia.

La finalità della proposta di legge da Lei avanzata è triplice: la riorganizzazione e ufficializzazione di tutti gli operatori del settore, l'attuazione e il controllo di modalità e prassi produttive e organizzative trasparenti e corrette per i consumatori, la promozione attraverso azioni di sostegno sia dei prodotti stessi che delle organizzazioni operanti. In merito al terzo punto, però, è stata richiesta l'attuazione di un fondo che ammonta alla cifra di un milione di euro. Qual è stato il criterio di quantificazione della stessa?
È frutto di una stima che dovrà essere verificata in sede di prima attuazione. Tenga presente che è stata ridotta a un decimo di quanto si prevedeva nei progetti di legge presentati nelle precedenti legislature. Il criterio è quello di intervenire inizialmente almeno su tre fronti. Anzitutto quello del controllo: il mondo del commercio equo ha elaborato un sistema di monitoraggio delle prassi contrattuali tenute lungo le filiere piuttosto originale, ma deve essere consolidato (l’istituzione dell’albo nazionale e il monitoraggio delle organizzazioni). In secondo luogo deve essere incentivato l’uso di prodotti frutto di prassi responsabili presso le pubbliche amministrazioni. In terzo luogo va sostenuta l’attività educativa che viene svolta dalle organizzazioni di commercio equo e che al momento grava in gran parte sui margini commerciali già molto risicati. Si tratta di azioni minime e necessarie per contaminare il sistema del commercio tradizionale.

Al Capo II della legge sono disciplinati i 'soggetti della filiera integrale del commercio equo e solidale'. All'art. 3, comma 1, nell'elenco degli stessi, sono comprese le associazioni. Tenuto conto della realtà, presente in Italia, di un elevato numero delle stesse, dietro alle quali invece si nascondono vere e organizzazioni economiche aventi scopi di lucro, è stato considerato l'aspetto contributivo e l'eventuale possibilità di evasione fiscale nel caso di un controllo non efficiente ed efficace?
Parlerei di un problema fiscale più che contributivo. Al momento gli attori del mondo del commercio equo assumono la forma dell’associazione solo fino a quando l’attività di distribuzione dei prodotti è molto modesta e accessoria ad attività educativa o culturale. Quando l’attività diventa più impegnativa e bisognosa di maggiore organizzazione divengono cooperative. La legge in ogni caso riguarda enti che accettano di sottoporsi a un controllo pervicace, poiché l’iscrizione nell’albo nazionale – cui è subordinata la possibilità di potersi valere della qualifica di 'organizzazione di commercio equo e solidale'? è condizionata all’accettazione dei controlli. Oggi in generale le associazioni (e le onlus in particolare) subiscono solo controlli formali e raramente accessi diretti ad opera della Pubblica Amministrazione. Le Cooperative invece ricevono controlli molto più seri delle imprese ordinarie. Nel mondo delle organizzazioni del commercio equo (quelle iscritte nel registro di Agices per intendersi) i controlli già oggi esistono, pur se realizzati in forma privatistica, anche nei confronti delle associazioni.
Hanno una notevole frequenza (controllo su base documentale una volta all’anno e accesso diretto almeno una volta ogni due anni) e non si fermano alle regolarità formali, ma investono anche il merito della organizzazione interna, le condotte contrattuali con i terzi e il rispetto dei principi (etici) del commercio equo nei loro riflessi organizzativi, così come questo movimento li ha codificati nel tempo.

L'art. 5, comma 3, del capo che regola i "soggetti che promuovono il commercio equo e solidale tramite la certificazione di prodotto, stabilisce le "misure adeguate al fine di salvaguardare la terzietà, l'indipendenza e la trasparenza delle attività di certificazione". Potrebbe stimare, approssimativamente, il costo dell'applicazione di tale articolo, dall'entrata in vigore della legge, se ciò accadesse, immaginando di esserci incontrate dopo un anno dalla stessa?
Non si tratta di un costo a carico dello Stato. La certificazione di prodotto nel sistema descritto dalla legge riguarda le imprese tradizionali che vogliano distribuire prodotti del commercio equo e solidale attraverso filiere proprie o di terzi. Il costo della certificazione (anche nei suoi aspetti organizzativi e strutturali di terzietà e indipendenza) viene pagato in primis dell’impresa attraverso le royalties all’ente certificatore. Ovviamente poi l’impresa scaricherà questo costo sul prezzo finale al consumatore.

Qual è l'iter di tale proposta di legge? In sintesi, quali i tempi della sua eventuale approvazione?
Attualmente la proposta di legge è in discussione presso la Commissione Attività Produttive della Camera. Abbiamo esaurito le audizioni e stiamo valutando alcune modifiche. Per i tempi bisognerà capire se l’approvazione definitiva dovrà avvenire in aula o nella stessa commissione. In quest’ultimo caso la Camera potrebbe anche riuscire ad approvare il testo entro la primavera.

Essa è nata dalla coesione di più orientamenti politici?
Direi proprio di sì. La mia iniziativa si pone in continuità con la proposta di legge presentata nella scorsa legislatura dal collega Lino Duilio e da altri 64 parlamentari di tutti gli schieramenti politici. Possiamo proprio dire che c’è un notevole consenso non solo intorno all’opportunità di normare il fenomeno, ma anche intorno al testo proposto. Anzitutto perché è un modello nato per correggere situazioni in cui le dinamiche di mercato si sono rivelate inadeguate (anzi controproducenti) e suscita molto interesse in un tempo di crisi. In secondo luogo perché i protagonisti di questo movimento hanno saputo presentarsi come interlocutori autorevoli e uniti.

Concludendo, cosa si aspetta dall'emanazione di tale norma e come crede verrà accolta o recepita dagli italiani?
Mi aspetto che sia dato riconoscimento a chi opera per uno sviluppo economico più equilibrato e
rispettoso dei diritti di tutti, anche dei nostri figli e dei nostri nipoti. Sono certa che l’approvazione della legge verrà salutata come un successo.

Lidia Ianuario

 

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pubblicata il 23 dicembre 2014

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