Dalla Corte dei Conti un monito anche per la prossima manovra: con i tagli lineari nessuna crescita è possibile

29 giugno 2011

Martedì 28 giugno scorso la Corte dei Conti ha presentato la relazione annuale sul giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello Stato 2010. Il presidente Luigi Giampaolino ha sottolineato come nell'attuale quadro congiunturale occorre ricercare un "difficile punto di equilibrio tra la riduzione del debito pubblico e il sostegno della crescita economica". In un'ottica che deve tenere conto dei vincoli imposti dalla nuova governance europea "la corretta allocazione delle risorse pubbliche e' fondamentale, così come e' fondamentale che l'attività di programmazione sia correttamente condotta", e che poi segua “l'attività di verifica sui risultati effettivi conseguiti" o, se gli obiettivi non fossero raggiunti, "sulle cause che determinano il mancato o ritardato utilizzo delle risorse disponibili". Il presidente ha ammonito che occorre vigilare affinchè, "sia a livello centrale sia a livello locale, l'obiettivo di riduzione della spesa pubblica non determini una dequalificazione della spesa stessa, considerato che l'obiettivo della crescita deve essere parimenti perseguito". Circostanza questa che la stessa Corte ha accertato negativamente, in quanto il contenimento della spesa pubblica in questi anni è stato perseguito soprattutto con la drastica riduzione della spesa per investimenti. Per questo occorre dire basta ai tagli lineari della spesa pubblica. La strada del rigore deve essere ancora perseguita, ma attraverso tagli selettivi che vanno a colpire quelle spese giudicate 'non utili'. Una sollecitazione che arriva mentre il governo si prepara al varo di una impegnativa manovra pluriennale per il risanamento della finanza pubblica volta al raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2014.

Il procuratore generale della Corte, Maria Teresa Arganelli, nella requisitoria nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato, ha puntato l'indice contro la 'debole ripresa' dell'economia del paese, dovuta da un lato al rallentamento mondiale, dall'altro lato ad un sistema produttivo che perde competitivita', scoraggia gli investitori esteri e risente di politiche pubbliche poco efficaci. Nel nostro Paese, e' stata l'indicazione del pg, serve correggere il deficit e abbattere il debito, ma anche favorire la crescita economica. Quindi c'e' l'esigenza di 'continuare sulla strada di un rigoroso contenimento della spesa', ma anche quella di 'superare le politiche affidate ai tagli lineari ancorati alla spesa storica. E' necessario procedere a tagli selettivi di tipologie di spese ritenute meno utili. E per far questo la Corte indica il metodo della “revisione della spesa” (la spending review, iniziata dal Ministro Padoa Schioppa e abbandonata da Tremonti). “Solo cosi' - spiega il pg - sara' possibile reperire risorse da destinare alla crescita del Pil”.

Altro fattore di stagnazione dell'economia segnalato dalla Corte dei conti e' la caduta degli investimenti pubblici, anche di quelli degli enti locali. E questo e' conseguenza delle attuali norme sul patto di stabilita' interno che fissano vincoli agli investimenti anche per gli enti virtuosi. Da qui l'invito a superare queste disposizioni che determinano 'un circuito vizioso'.

Il pg ha inoltre indicato all’attenzione generale l’improrogabile necessità di un intervento in materia fiscale, che riduca in misura significativa le aliquote sui redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati.
Tutte indicazioni, queste, che erano già arrivate dal Governatore Draghi nella sua ultima relazione, ma a leggere anche il testo dell’ultima manovra correttiva appena sfornata dal Governo non pare che siano state raccolte.

Quanto all’efficacia della politica di bilancio dell’attuale Governo, è interessante leggere la relazione del Presidente di Sezione Maurizio Meloni: “Nel 2010, l’indicatore più significativo della gestione del bilancio dello Stato, rappresentato dal saldo netto da finanziare di competenza, espone un miglioramento, rispetto al 2009, del 33,9 per cento (il valore negativo si riduce da 32,6 a 21,6 miliardi).
 
L’esito di gestione e la stessa leggibilità del rendiconto generale dello Stato sono peraltro sempre più appannati da un imponente – e crescente – accumulo di residui attivi e passivi. Si tratta di una anomalia rilevante (…).

I residui attivi raggiungono la soglia record di circa 230 miliardi, mentre i residui passivi, tornando a superare il livello dei 100 miliardi, si cifrano in oltre 108 miliardi. Per il 90,5 per cento si tratta dei cosiddetti residui propri, destinati a tradursi in pagamenti effettivi nel breve/medio period
o; i residui di stanziamento, invece, registrano una consistente flessione – superiore agli 8 miliardi – legata alla più restrittiva disciplina che regola oggi la materia.

I residui passivi costituiscono un problema annoso – aggravato negli ultimi tempi da misure di contenimento della spesa spesso orientate allo slittamento dei pagamenti – che dipende sostanzialmente da procedure complesse e defatiganti in taluni settori di intervento, da schemi contabili spesso obsoleti, da incongrui comportamenti gestionali, da serie discrasie negli assetti organizzativi delle amministrazioni; e, al riguardo, devono effettuarsi notazioni critiche.

Anche i residui attivi crescono ad un ritmo superiore al 18 per cento (passando da 194,6 miliardi a circa 230 miliardi), nonostante un abbattimento di dimensioni eccezionali (oltre 200 miliardi) effettuato in sede di consuntivo, da riconnettere sia alla eliminazione di partite inesigibili che al complesso processo di riclassificazione degli altri residui per grado di esigibilità. Nella sostanza, tuttavia, le due componenti non possono essere valutate in modo equivalente. Infatti, mentre il volume dei residui passivi propri di conto capitale, per effetto del nuovo regime della perenzione, risulta sottostimato, tra i residui attivi prevalgono, invece, somme derivanti da incongrue modalità di quantificazione degli accertamenti – segnatamente nel settore extratributario - che comportano una sistematica sovrastima e un basso grado di esigibilità.

Ulteriori segnali non positivi, sul piano della trasparenza dei conti, emergono dalle vicende gestorie degli anni più recenti
. A fianco del fenomeno – ormai divenuto strutturale – delle regolazioni contabili e debitorie, si è formata, in concomitanza con le restrizioni finanziarie, una massa di debiti pregressi, in parte ripianati con le risorse previste dal DL n. 78/2009, e si è venuto generalizzando il ricorso a “pagamenti in conto sospeso” che in gran parte ancora attendono una completa sistemazione contabile in bilancio. Si tratta di fenomeni di per sé non compatibili con il principio di annualità del bilancio, che finiscono per incidere sulle risultanze di consuntivo”.

Non servono – credo - commenti ulteriori: al debito pubblico indicato in circa 1.900 miliardi di euro dovrebbero sommarsi dunque almeno 98 miliardi di euro di residui passivi, debiti accertati, ma non ancora pagati, mentre è meglio tacere dei residui attivi, probabilmente ‘gonfiati’. La polvere sotto il tappeto c’è e la troverà il prossimo governo, insieme ai 40 miliardi di manovra correttiva che erediterà!
 
 
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pubblicata il 28 giugno 2011

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