La manovra dei rinvii bocciata dai mercati ed approvata in una settimana

16 luglio 2011

La scorsa settimana abbiamo assistito ad un paradosso, anche se giustificato dalla drammatica gravità della situazione in cui l'Italia sta precipitando. Le opposizioni, e fra queste quella del Pd, pur di salvare il Paese, pur di preservare i risparmi dei cittadini e il futuro dei nostri giovani, hanno accettato di far approvare in tre giorni, praticamente a scatola chiusa, una manovra che non condividono perché devastante, ingiusta e comunque insufficiente, la manovra “dei rinvii”, come l’ha efficacemente definita Tito Boeri, che non basta a centrare l’obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2014, e che era stata per questo bocciata dai mercati nella versione uscita dal Consiglio dei Ministri.

Una manovra che, senza alcun progetto di riforma e di sviluppo per il Paese, cerca di raccattare qua e là in modo improvvisato la cifra necessaria a tenere a bada i mercati assettati di sangue, rimandando la maggior parte dei suoi effetti (più di 40 miliardi) agli anni successivi a questa legislatura, per evitare danni elettorali. Una manovra che non mette mano sul serio ad una credibile riforma della politica e dei suoi costi. Una manovra che è fatta di un ulteriore aumento pesante ed indiscriminato delle entrate (basti pensare alla conferma dell’aumento delle accise deciso il 28 giugno dal direttore dell’Agenzia delle Dogane, che diventa strutturale, facendo incamerare allo Stato solo questa 1, 8 miliardi in più ogni anno a carico dei cittadini  e delle imprese); di un ulteriore inasprimento del sacrificio richiesto ai Comuni (che dovranno garantire un saldo obiettivo di 2,5 miliardi sia per il 2011 che per il 2012, di 3,5 miliardi nel 2013 e di 5,5 miliardi a partire dal 2014 e per ciascuno degli anni successivi, con la conseguenza di costringerli a tagliare i servizi e bloccare ogni cantiere o mettere anch’essi le mani in tasca ai cittadini; di un taglio di 8,7 miliardi alla sanità accompagnati dall’incremento del ticket, che renderà impossibile alle regioni tenere insieme l’equilibrio finanziario e la garanzia delle prestazioni, per cui ancora una volta il tutto si scaricherà sulla vita delle fasce più deboli e sulle tasche dei ceti medi e popolari. Così la concentrazione della manovra sul lato delle entrate non potrà che avere ulteriori effetti negativi sulla crescita.

Una manovra che non sceglie: i 15 miliardi che si dovranno reperire con la delega della riforma fiscale ed assistenziale erano scritti sul ghiaccio e, infatti, per essere più credibili, ci si è impegnati ad ottenerli, se delega non sarà, con un ulteriore devastante taglio lineare prima del 5% e poi del 20% su tutti i regimi di agevolazioni esistenti. Tuttavia la somma totale dei costi derivanti dai regimi di agevolazione contenuti nella tabella allegata dal Governo è di 161 miliardi. Poiché il 20 per cento di 161 fa 32, emerge un grossolano errore contabile nel testo governativo, il quale se applicato così come scritto, produrrebbe ben più dei 20 miliardi di obiettivo. La tabella comprende poi 103 miliardi di agevolazioni alle persone fisiche: famiglia (carichi familiari, figli, sanità, istruzione, ecc.), lavoro dipendente, pensioni. E’ una totale assurdità - oltre che una colossale ingiustizia – pensare di decurtarle in via automatica del 20 per cento, chiedere cioè alle famiglie, al lavoro e alle pensioni un contributo di 20 miliardi!  Si rischia che alla fine quasi tutto il taglio colpisca le detrazioni per redditi di lavoro e pensione, quelle per carichi familiari e le aliquote Iva ridotte per i beni di prima necessità. Dunque pagheranno le famiglie più povere, i nuclei con figli e i ceti medi attraverso un drammatico aumento della tassazione personale sui redditi. La quale è già oggi per più del 90 per cento a carico dei soli redditi da lavoro dipendente  e pensione. Questo non è rigore, ma come ha detto bene Famiglia Cristiana, è macelleria sociale!

Ma un segnale politico doveva essere dato ai mercati e agli speculatori: dire, forte e chiaro, che non vi sono forze politiche che giocano allo sfascio;  che l'intero Parlamento difende gli obiettivi della stabilità, del conseguimento del pareggio di bilancio, della riduzione del debito, del rispetto dei vincoli europei, così come quantificati nei saldi della manovra, vincoli che il Parlamento tutto assume come propri, unanimemente condivisi, per ora e per i prossimi anni, quale che sia l'evoluzione del quadro politico. Questo è il messaggio di responsabilità nazionale che i mercati hanno recepito e che ha temporaneamente placato l'aggressione speculativa contro l'Italia.

Non illudiamoci che questo basterà. I mercati torneranno ad aggredirci, se continuerà lo spettacolo di un Governo che è esattamente il contrario di ciò che occorrerebbe per fronteggiare con energia e credibilità una situazione tanto difficile: un Governo dilaniato da lotte violente, combattute a suon di dossier confezionati da apparati deviati; una corruzione dilagante che rivela uno stile di gestione del potere cinico e spregiudicato, privo di valori e di senso dello Stato; una corruzione che coinvolge ormai i massimi vertici del Governo e, addirittura, colui che dal 2008 chiede al Paese rigore, sobrietà e sacrifici, il Ministro Tremonti.

Certo, di fronte a questa drammatica crisi ed all’attacco che, prima attraverso la Grecia, ora attraverso l’Italia, i mercati stanno portando all’euro, l'Europa dimostra un'abissale inadeguatezza e assenza di visione da parte della sua leadership, un drammatico ritorno allo spirito di Westfalia, al culto, cioè, della sovranità nazionale, mentre se i responsabili europei trovassero una soluzione collettiva e condivisa al problema del debito il problema si sgonfierebbe in 24 ore. Lo spiega bene in un articolo del Messaggero l'economista Paolo Savona.

Ma bisogna chiedersi, se la crisi è europea e se l'Italia, come Tremonti e Berlusconi per mesi ci hanno ripetuto, sta meglio di altri Paesi forti, perché la speculazione ha colpito l'Italia e non gli altri Paesi. La ragione è molto semplice: è lo spettacolo che stanno dando il Governo Berlusconi e la sua maggioranza, che, pur di salvare se stessi e i propri interessi, stanno portando a fondo l'Italia; un Governo che per l'Italia è diventato un handicap, una zavorra, anzi, forse la zavorra più pesante. Infatti, neppure in una situazione come quella che oggi stiamo affrontando, neppure di fronte all'eccezionale assunzione di responsabilità delle opposizioni, neppure con la forza che deriva dal sostegno del Capo dello Stato, neppure in questa eccezionale congiuntura sono stati capaci di dare un segno di coraggio, di equità, di riforme sempre attese.

Il voto contrario del Pd, come risulta con chiarezza dalla dichiarazione di voto di Pierluigi Bersani, ha manifesto il nostro più totale dissenso sull’impostazione di questa manovra e sulla sua inadeguatezza (e dunque se saremo noi al governo dopo le elezioni la cambieremo radicalmente), ma anche il fatto che il Paese ha bisogno di altro: ha bisogno che si chiuda rapidamente l'agonia del berlusconismo, che ogni giorno che passa divora l'Italia, la sua fiducia e le sue energie. Del resto le gravi difficoltà della maggioranza e del Governo questa settimana si sono riconfermate in occasione della discussione del decreto legge per l'emergenza rifiuti in Campania (alla cui conversione la maggioranza ha dovuto rinunciare per i dissidi tra Lega e Polo) e poi del voto sulle mozioni concernenti iniziative urgenti sull'emergenza rifiuti a Napoli (che ha visto più volte il Governo andare sotto, dopo che il Ministro Prestigiacomo ha dato parere favorevole alle mozioni delle opposizioni e la sua maggioranza votava contro, mentre il Ministro si asteneva e le mozioni passavano con i voti dell'opposizione).

L'Italia ha bisogno che inizi subito una nuova fase, ha bisogno di una guida autorevole, credibile e coesa, capace di superare le lacerazioni che in questi 15 anni hanno dilaniato il Paese, per realizzare ciò che l'Europa, i mercati, ma prima di tutto gli italiani, chiedono alla politica: rigore, equità e crescita, le tre parole d’ordine del compianto ministro dell’economia Tommaso Padoa Schioppa.

Vi segnalo per un approfondimento la relazione del nostro relatore di minoranza al Senato, dove vi è stato qualche esiguo spazio di lavoro sulla manovra, con il deposito di emendamenti significativi, mentre alla Camera la consegna della presidenza del gruppo del Pd a noi deputati è stata quella di non presentare nessun emendamento e nessun ordine del giorno.

Voglio concludere questa riflessione trascrivendo qui di seguito la dichiarazione di voto dell’on. Antonio Martino (Pdl), già Ministro della Difesa, che mi pare sia assai significativa: “Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, come liberale non amo i dittatori di nessun tipo, ma c'è un tiranno al quale credo dovere, come tutti noi, obbedienza assoluta ed è la piccola voce silenziosa, che sta dentro di me e mi dice cosa è giusto e cosa non è giusto fare. Ho votato «sì» alla fiducia al Governo, perché ovviamente la stabilità politica è nell'interesse dell'Italia: la stabilità dell'Esecutivo in questo particolare momento ha un'importanza enorme, superiore a quanta ne abbia in tempi normali. Tuttavia, per la stessa obbedienza che devo alla mia coscienza, non voterò questa manovra. Non la voterò perché ritengo che essa faccia male all'Italia e non faccio riferimento ai contenuti, ma faccio riferimento ad un dato storico inoppugnabile: questa non è la prima manovra. Da un quarantennio abbiamo, ogni anno, una o due manovre correttive, che hanno l'obiettivo di risanare la finanza pubblica. Quindi non è una medicina nuova, inventata oggi,  una lunga storia alle spalle, ma non ha funzionato, signor Presidente, per un'ovvia ragione, ovvero che questo Paese non ha bisogno di manovre: ha bisogno di riforme!”.

 
 
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pubblicata il 16 luglio 2011

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