Il sì all'arresto di Papa, forse una svolta senza ritorno

23 luglio 2011

Credo che la sintesi più efficace di ciò che è accaduto in Aula alla Camera questa settimana sia quella di Antonello Caporale su Repubblica del 21 luglio. Ve la trascrivo.

“Il silenzio cala così improvviso da mettere paura. È come se tutto Montecitorio sentisse le manette che adesso aspettano invece solo i polsi di Alfonso Papa, inchiodato al suo banco, quart' ultimo salendo da destra, col telefonino davanti agli occhi e i fogli, sui quali aveva stampato l'inutile difesa, che gli cingono il petto. «Hanno votato sì all'arresto 319, no 293. La Camera concede l'autorizzazione». Pare stupìto persino Gianfranco Fini nel leggere quel bollettino di resa del Palazzo ai giudici, e sigillato, come fosse già in un sarcofago, il volto di Silvio Berlusconi. Pallido ed esausto. E solo. Non gli è accanto Umberto Bossi. Sparito come le nuvole d'estate. Assente dalla Camera e dal suo ruolo. Leader in disarmo, incalzato dalla prova di fedeltà che invece Roberto Maroni ha chiesto ai suoi deputati, trentaquattro secondo D' Alema. I quali infatti scelgono il pronunciamento. Contro Berlusconi, contro questa maggioranza e - appunto - contro Bossi. Voteranno sì all' arresto. E si fotograferanno le dita, come fa Giacomo Stucchi, il capogruppo in pectore dei falangisti, per testimoniare la battaglia in corso. L'indice della mano sinistra all'estremità della feritoia sinistra. L'estremo tentativo di rendere palese un voto segreto. Il modo col quale anche il Partito democratico è riuscito a rendere palesi tutti i suoi voti, con i suoi deputati a mostrare l'indice della mano sinistra a spingere il sì. Dario Franceschini spiega: «...ritraendo tutte le dita all' infuori dell' indice, abbiamo reso impossibile il doppio gioco». Una dichiarazione che ammette l'inguaribile malattia della politica: il tradimento. Questa volta la pugnalata giunge a destinazione nel corpo dell'avversario. Prima e più che l'onorevole Papa, è Berlusconi a sentire sulla propria pelle la lama. E urla di sdegno Fabrizio Cicchitto contro i suoi ministri assenti. Non c'è Paolo Romani, si dice in Afghanistan. In mattinata feroce era stata la ramanzina al ministro del Turismo Michela Brambilla: «Il livello delle tue presenze in aula è troppo modesto». Ne era quasi seguita una colluttazione. Una scena mai vista prima, anch' essa da segnare in questo indimenticabile 20 luglio 2011. E' lontano da Berlusconi anche Angelino Alfano, il segretario ministro che oggi si rifugia tra i colleghi peones. Non dichiara, non si mostra, non applaude. E Frattini dov' è? Il risultato del voto è un incubo che produce un silenzio crudele. Nel silenzio rimbomba il pugno che il premier affonda sul tavolo, le lacrime di Maria Rosaria Rossi, la deputata conosciuta per le gestione dei giochi privati del premier, il bacio che Renato Farina fa schioccare, quasi travolgendolo, sulla guancia sinistra del deputato Papa. L'unico bacio, l'unico abbraccio. L'onorevole magistrato che deve andare in galera dondola invece che camminare. Non sa se uscire, quando uscire, cosa fare. Silvio con una torsione del corpo si nega alla sua vista come per rifugiarsi altrove e sfuggire a una scena orribile. Il suo deputato che infila la porta del Transatlantico, obbligato a costituirsi da un voto dell'Aula. Gli occhi sbarrati di Marco Milanese, altro candidato al patibolo, segnano i passi. Il corteo avanza lentamente verso il corridoio in cui ci sono le stanze dei ministri. E' un corteo funebre. Ventisette anni dopo è successo ciò che neanche il fuoco di Tangentopoli riuscì a provocare: un voto del Parlamento contro uno dei suoi rappresentanti. «Ma così finiremo tutti dietro le sbarre!», aveva profetizzato Mario Pepe, deputato urlatore, nell'estremo tentativo di scongiurare il buio e tutte queste lacrime amare.”

Ricordo che questo passaggio è arrivato dopo un altro pesante giudizio negativo sull’azione del Governo Berlusconi, quello dei mercati sull’iniziale decreto legge della manovra correttiva (su cui più avanti troverete una riflessione), che ha tolto credibilità alla politica economica e di bilancio del Ministro Tremonti, anch’esso peraltro colpito sul piano personale dalle vicende giudiziarie del consigliere fidato on. Milanese. Inoltre, prima del voto sull’arresto di Papa, questa settimana è saltata la conversione del decreto legge sull’emergenza rifiuti di Napoli ad opera della Lega e anche sulle mozioni concernenti iniziative urgenti sull’emergenza rifiuti a Napoli il Governo era andato sotto in alcune votazioni relative alle mozioni dell’opposizione, che hanno visto il Ministro Prestigiacomo dare parere favorevole e la sua maggioranza votare compatta contro. Risultato: le opposizioni hanno messo sotto la maggioranza tre volte, con il Ministro Prestigiacomo che si asteneva (vedi articolo La Stampa del 21 luglio: Rifiuti, il Governo contro se stesso).

Si può ben comprendere dunque perché l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’on. Papa sia stata una sorta di svolta forse senza ritorno per il Governo e per la maggioranza di centro destra.

Voglio però chiarire, prima di ogni valutazione politica, che la sottoscritta, pur avendo convintamente votato a favore ritenendo che sulla base delle carte (vedi articolo del 21 luglio su La Stampa, Le carte – Un’ascesa a colpi di favori di politici e minacce agli imprenditori) non ci fosse il fumus persecutionis (questo è ciò su cui deve giudicare l’Assemblea della Camera), non si è rallegrata o ha gioito perché una persona veniva arrestata e tantomeno ho votato sì per dare soddisfazione alla piazza. Il punto è un altro: tutti sono eguali davanti alla legge, ma non tutti si comportano in modo uguale di fronte alla legge. Io credo sia ora di cominciare a distinguere per cominciare a cambiare. Anche dentro alla cosi detta casta: non tutti i parlamentari sono uguali, perché diversi sono i comportamenti, non solo sotto il profilo penale, ma anche sotto quello della responsabilità e dell’etica pubblica.  

Ecco perché condivido la riflessione di Stefano Cappellini, sul Messaggero del 21 luglio:

“Il sì della Camera all`arresto del deputato Pdl Alfonso Papa rappresenta un punto di non ritorno nella storia di questa legislatura e di tutta la vicenda politica berlusconiana. Per la prima volta è un alleato di governo, la Lega, a sconfessare nel modo più ufficiale e plateale - con un voto dell`aula di Montecitorio - una posizione dei presidente del Consiglio in materia di giustizia.

Berlusconi ha lavorato fino all`ultimo per evitare che Papa cadesse, sostenendo che le accuse rivolte dai pm al deputato campano fossero solo l'ennesimo capitolo di una giustizia politicizzata e fuori controllo. I deputati del Carroccio, sospinti da un`intensa campana interna di Roberto Maroni, hanno smentito questa interpretazione.

Per Berlusconi il colpo è durissimo: il Cavaliere ha già perso per strada alleati preziosi a causa di dissensi sulla giustizia, dissensi decisivi sia nel provocare l`uscita di Pier Ferdinando Casini dalla Casa delle libertà sia nelle motivazioni con cui Gianfranco Fini ha detto addio al Pdl. Soltanto la Lega era rimasta a oltranza al fianco di Berlusconi.

Ha votato tutte le cosiddette leggi ad personam.

Ha coperto politicamente gli attacchi del premier alla magistratura.

Ora il Carroccio si è riposizionato.

E Berlusconi è davvero isolato. Certo, la consegna di Papa ai magistrati ha forse salvato il governo da un`altra potente ondata di impopolarità, che si sarebbe subito tradotta in nuovi disastrosi sondaggi.

Ma è un beneficio di corto respiro se paragonato agli effetti della frattura con la Lega, che ha scelto di mettersi in sintonia con l`opinione pubblica dominante.

Proprio la pressione popolare rappresenta l`altro fattore determinante in questo frangente. Il voto su Papa è una svolta anche in senso assoluto, nella storia repubblicana. Solo in quattro occasioni, prima di ieri, il Parlamento aveva dato il via libera all`arresto di un proprio componente e si trattava in tutti e quattro i casi di indagini legate a violenza politica o terrorismo. Mai, invece, era arrivato il sì a fronte di richieste per reati di malaffare, corruzione o affini. Nemmeno all`epoca di Tangentopoli, quando i palazzi della politica erano assediati quotidianamente, e non solo in senso`metaforico.

Un`eccezione confermata dal fatto che sempre ieri il Senato ha detto no agli arresti domiciliare per l`ex esponente del Pd Alberto Tedesco, il quale peraltro aveva chiesto all`aula di assecondare la richiesta della magistratura.

Non è stato accontentato.

Incoerenza? Apparirà a molti la spiegazione più sensata.

In realtà, i casi di Papa e Tedesco sono molto diversi e, al di là del palleggio di responsabilità su quali voti abbiano salvato Tedesco (se i suoi stessi compagni di partito o la Lega), c`è una ratio nella diversità dei responsi d`aula, anche se non sarà semplice spiegarlo a un`opinione pubblica che appare sempre più tentata dall`opzione del repulisti giudiziario.

Qui sta il rischio più grande nella situazione attuale:

si tratta di un sentimento comprensibile ma pericoloso.

Alla base del malumore popolare c`è l`insofferenza per una politica sempre più inconcludente e `percepita come chiusa a difesa dei propri interessi particolari, vedi il caso del mancato taglio ai costi del Palazzo. Ma una classe dirigente degna di questo nome non può pensare di cavalcare sempre e comunque i più bassi istinti giustizìalisti.

Deve essere capace di distinguere. Di spiegare.

E magari anche di prendere, quando occorre, decisioni impopolari nel senso migliore del termine. Capaci cioè di sfidare il sentire comune se serve a preservare la qualità della vita civile del Paese.

Capace di contrastare i giustizialisti in servizio permanente che, smentiti dai fatti, davano già per sicuri grandi inciuci (lo scambio di salvataggi Papa-Tedesco tra maggioranza e opposizione) e turpi baratti (lo scambio Papa-decreto rifiuti tra Pdl e Lega). La pancia del paese è in tumulto. Ma con la pancia non si ragiona né si governa.

A meno di non volersi illudere che la salvezza del paese consista nell`applicazione della parola d`ordine «più manette per tutti»”.

Quanto all’analisi politica sull’attuale situazione del Governo e della maggioranza di centrodestra, vi rinvio al bell’intervento di Stefano Folli sul Sole 24 ore del 21 luglio, dal titolo assai significativo: “Una scelta che cambierà il futuro del centrodestra”.


pubblicata il 23 luglio 2011

ritorna
 
  Invia ad un amico