La politica presti ascolto alla protesta degli indignati

16 ottobre 2011

indignadosLe principali città occidentali sono state teatro della protesta degli Indignati, in gran parte giovani. In tutto il mondo centinaia di migliaia di cittadini scendono in piazza colpiti dalla crisi economica per protestare per problemi comuni: disoccupazione, crescente disparità di reddito, mancanza di alloggi a buon mercato, tagli alla spesa sociale, corruzione, diffidenza se non disprezzo verso la politica tradizionale, che appare incapace di governare i processi della finanza globale e di difendere i cittadini. Particolarmente simbolica l’occupazione di Wall street a New York, il cuore del miglio quadrato  più potente della finanza mondiale. Il  senso della protesta sembra essere anche quello di creare un nuovo spazio politico, che sia diverso dagli stanchi discorsi della politica ufficiale e in cui ci siano maggiore uguaglianza e rispetto per gli esseri umani. Insomma i cittadini di varie zone del mondo, soprattutto i giovani, voltano le spalle ai partiti e sindacati e si organizzano in forme meno gerarchiche e più partecipative, che utilizzano la cultura della rete. Si tratta di un segnale forte della crisi di legittimità che attraversa la politica e le istituzioni, viste con sospetto come occupate da una commistione di interessi tra affari e politica. Ma questi movimenti potrebbero anche essere il segno positivo di un ritorno dei cittadini alla partecipazione ed all’impegno politico se sapranno incanalare la protesta nelle forme democratiche della proposta. In fondo è una sorta di risveglio dopo l’epoca dell“esternalizzazione” dell’impegno civico e politico, che potrebbe condurre positivamente a recuperare il senso dell’appartenenza alla comunità e della responsabilità degli uni verso gli altri.

Purtroppo a Roma la manifestazione di sabato scorso è stata rovinata da gruppi violenti organizzati, che hanno causato scontri con feriti e danni rilevanti. Mentre il Ministro Maroni ha rivolto un appello all’unità di tutte le forze politiche per condannare una violenza ingiustificata e criminale, il Ministro Gelmini – di scuola berlusconiana - ne ha attribuito la responsabilità ad una certa sinistra che alimenta odio e contrapposizione. In realtà pochi delinquenti, che non rappresentano alcuna forza politica, e che vanno puniti con fermezza, non possono macchiare la protesta legittima di tanti giovani che chiedono di poter sognare un futuro migliore e più giusto. Ed è vergognoso che il Ministro dell’istruzione si presti ad una tattica puramente strumentale ad alimentare lo scontro politico, per cercare di nascondere il disagio diffuso che è in gran parte ascrivibile proprio alla incapacità del governo di cui fa parte di dare risposte credibili ed efficaci ai problemi di tantissimi italiani.

Tutt’altro lo stile del governatore Mario Draghi, che si è rammaricato con tristezza per la violenza inaccettabile, ma che ha solidarizzato con i giovani indignados: «Se siamo arrabbiati noi per la crisi, figuriamoci loro che sono giovani che hanno venti o trent'anni e che sono senza prospettive». «Se la prendono con la finanza come capro espiatorio» ha poi dichiarato il Governatore, a proposito del movimento che per criticare gli eccessi della finanza internazionale si è autobattezzato dei "Draghi ribelli". «Ma li capisco: hanno aspettato tanto. Noi, alla loro età non lo abbiamo fatto». Le prospettive di reddito e di occupazione di chi oggi ha venti o trent'anni sono largamente inferiori a quelle dei sessantenni di oggi, come hanno documentato numerosi studi della Banca d'Italia che evidenziano l'esistenza di un più consistente rischio-povertà per la generazione della crescita-zero. Del resto, da molto tempo, il governatore della Banca d'Italia sottolinea che in assenza di scelte di fondo più inclusive e più lungimiranti a favore dei giovani che oggi devono vedersela con un tasso di disoccupazione quasi al 30 per cento e a favore degli investimenti in capitale umano il motore dello sviluppo non può ripartire.
Si tratta delle stesso genere di considerazioni che, arrivando dall'altro lato dell'Atlantico, ha sviluppato ieri anche il segretario al Tesoro Usa. Timothy Geithner, infatti, ha dimostrato comprensione nei confronti delle proteste di massa in corso sulle piazze di mezzo mondo industrializzato. E nel pomeriggio, dopo che il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi aveva dato ragione ai giovani, auspicando naturalmente che la protesta non degenerasse, il ministro del Tesoro americano in un'intervista televisiva alla Cnbc ha detto di capire le preoccupazioni del movimento che prende di mira il cuore pulsante della finanza globale e si chiama, per l'appunto, «Occupy Wall Street». «Quello a cui stiamo assistendo negli Stati Uniti - ha aggiunto Geithner - è l'espressione del timore che l'economia Usa non stia crescendo in tempi rapidi, che il tasso di disoccupazione non stia calando più velocemente e che non ci sia un aumento dei salari. La gente vuole che il governo agisca per migliorare subito la situazione».

Ecco, il punto è proprio questo: rendersi conto che gli elettori - e in particolare i giovani - sono sfiduciati e senza più riferimenti. Occorre con urgenza una politica che sappia interpretare i cambiamenti in atto e si faccia carico di governare i problemi nell’interesse dei cittadini, combattendo le crescenti disuguaglianze e perseguendo uno sviluppo sostenibile. Attraverso uomini e donne credibili e capaci anche di un nuovo linguaggio di verità e responsabilità, di disponibilità all’ascolto, di sperimentazione ed innovazione in campo sociale, economico e politico, per costruire condizioni di libertà e giustizia per ciascun essere umano.

Ascoltare le voci di questo movimento, senza assolutizzarne le ragioni e le teorizzazioni, può dunque aiutare la politica a ritrovare slancio ideale  proprio dall’ascolto dei bisogni e dei sogni di tante persone che devono recuperare speranza nel proprio futuro. Per questo vi riporto uno stralcio dell’intervento svolto domenica 9 ottobre ai manifestanti di Occupy Wall Street a Liberty Plaza dal filosofo sloveno Slavoj Zizek (clicca qui).
 
 

pubblicata il 16 ottobre 2011

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