Governo di salvezza nazionale: il Pd ha dimostrato grande responsabilità

13 novembre 2011

dimissioni_berlusconiAlla fine il Governo Berlusconi-Bossi è caduto sotto le macerie che esso stesso ha provocato, sottovalutando  gli effetti della crisi internazionale sulla nostra economia. Martedì scorso, dopo aver dovuto prendere atto, sul voto al Rendiconto generale dello Stato per il 2010, che non aveva più la maggioranza - grazie all’intesa tra tutte le opposizioni che hanno scelto di non partecipare al voto - il Premier è salito al Colle annunciando le sue dimissioni, pur se rinviate formalmente a dopo l’approvazione della legge di stabilità per il 2012. L’ennesimo crollo della borsa, il drammatico innalzamento del tasso di interesse dei nostri titoli di Stato assieme al vertiginoso rialzo dello spread tra questi e i titoli tedeschi, hanno quindi indotto il Capo dello Stato ad accelerare i tempi per tentare di salvare il Paese dal punto di non ritorno in cui si trova a causa delle scelte dissennate del Governo di Centro Destra.

Per questo il Parlamento, proprio su richiesta delle opposizioni, ha affrettato i tempi di approvazione della legge di stabilità e del bilancio, mentre la maggioranza cercava di prender tempo e di arrivare all’approvazione solo entro la prossima settimana. Il testo, modificato con il maxiemendamento del Governo arrivato solo mercoledì sera, ha ottenuto così il via libera già giovedì dal Senato e sabato pomeriggio dalla Camera, senza la presentazione di alcun emendamento dell’opposizione. Il momento eccezionale e l’appello del Capo dello Stato non ci hanno dato alternative, ma per marcare la nostra contrarietà alle misure del Governo abbiamo deciso di non partecipare alle votazioni.  Da segnalare il fatto che – per la prima volta in assoluto - i lavori in Commissione Bilancio del Senato sono stati seguiti da vicino (proprio con la loro presenza fisica) degli ispettori inviati a Roma dalla Commissione Europea (assieme a quelli della Bce). Un simbolo anche fisico del commissariamento a cui è stato portato il nostro Paese da un Governo inadeguato ed irresponsabile.

Dopo il voto della legge di stabilità, uscita dalla Camera, ho assistito, fuori di Palazzo Chigi, sede della presidenza del governo, allo spontaneo radunarsi intorno alle transenne di una grande folla che chiedeva le dimissioni di Berlusconi. Qualcuno sventolava una bandiera italiana, in molti, anche turisti stranieri, scattavano delle foto. C'era la sensazione che si stesse chiudendo un'epoca e in molti ieri sera hanno voluto esserne testimoni. Non si respirava però un clima di contrapposizione e di vendetta, ma piuttosto un clima di sollievo e quasi di festa. La maggioranza degli italiani ha maturato in questo ultimo periodo la consapevolezza che il governo Berlusconi costituiva un gravoso peso per il Paese, ma è altrettanto consapevole che questa "liberazione" è soltanto il primo passo di una dura risalita che abbiamo davanti a noi.

La manovra approvata ad occhi chiusi dal parlamento, senza alcuna possibilità di un esame approfondito, presenta molte più ombre che luci. Ci sarà tempo di esaminarla ora più approfonditamente, ma mi auguro soprattutto che ci sia la possibilità di correggerla se si riuscirà ad avere in tempi brevi un nuovo Governo. Molte sono le norme ‘pesanti’: dalle dismissioni di immobili e terreni (che sottendono il pericolo che possano essere svenduti beni di grande valore, come il carcere dell’Asinara che si trova nell’isola all’interno di  un parco naturale, o Pianosa con i terreni circostanti, dei paradisi naturali che rischiano di essere venduti come terreni a vocazione agricola per due soldi), alle liberalizzazioni di servizi locali e professioni, dall’aumento dell’età pensionabile per la vecchiaia alla mobilità e cassa integrazione per gli statali. Pesante è anche la modifica al Patto di stabilità per gli enti locali: con l’ultimo atto del Governo ‘federalista’ di Centro Destra, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha consumato l’ultima vendetta a carico dei nostri comuni. Non bastava il taglio dei trasferimenti (per cui dal 2012 lo Stato non compenserà più il mancato introito dell’Ici sulla prima casa), non basta essere costretti a fare avanzi (tenendo fermi i soldi in cassa per circa 4 miliardi e mezzo di euro con cui potremmo invece aprire cantieri e mettere in sicurezza scuole e territorio): a partire dal 2013 i nostri comuni dovranno partecipare alla riduzione del debito pubblico in relazione al debito medio pro capite, sia attraverso un’ulteriore stretta al ricorso a mutui, sia dismettendo i propri immobili. Pensare che i comuni italiani detengono il 2,5% dello stock del debito pubblico: appena 50 miliardi sui 1.911 miliardi del totale del debito pubblico! Il che significa che gli investimenti dei Comuni, già pressoché fermi, saranno del tutto azzerati: basta scuole, piste ciclabili, palestre, etc… Ne risentirà anche la manutenzione straordinaria del patrimonio, che rischia di essere lasciato in degrado o svenduto. E chi non ci riuscirà a ridurre il debito per i mutui già assunti subirà sanzioni, come un’ulteriore stretta alla spesa corrente (per noi significa la spesa per i servizi scolastici e il sociale) e il divieto di assunzioni.  Insomma, un colpo mortale per i Comuni, ma soprattutto per l’economia locale e la qualità della vita nei territori, anche se nel maxi è stata introdotta una riduzione dei tagli agli enti territoriali grazie all’utilizzo di circa 510 milioni di euro della Robin Tax.

E’ evidente ormai a tutti che stiamo vivendo uno dei momenti più drammatici della storia del nostro Paese. La drammaticità del momento fa appello alla responsabilità di tutte le forze politiche, economiche e sociali che hanno a cuore l’interesse e la salvezza dell’Italia. Ne è consapevole il Presidente Napolitano che con grande lucidità e determinazione sta tessendo una tela, in costante contatto con le autorità europee e internazionali, per dare una prospettiva immediata di uscita dal tunnel in cui siamo stati condotti. La soluzione che sembra avere maggiore possibilità di successo – mentre vi scrivo il Presidente sta compiendo le formali consultazioni delle forze politiche - sembra essere quella di un governo affidato alla guida di Mario Monti, nominato mercoledì scorso senatore a vita da Napolitano.  Ma perché questa soluzione possa arrivare in porto è necessario che tutti si assumano la propria parte di responsabilità, anche se sembra innaturale un governo sostenuto in parlamento dalle maggiori forze politiche, sia di maggioranza sia di opposizione. D’altra parte la posta in gioco è il salvataggio dell’Italia dal fallimento.

Il Partito Democratico si è dichiarato da subito pronto ad assumersi la responsabilità di dare pieno sostegno ad un nuovo governo di ‘salvezza nazionale’. Una decisione, sofferta e non ancora definitivamente metabolizzata da una parte dei dirigenti e militanti che vedono così sfuggire la possibilità di una vittoria elettorale che, stando ai sondaggi, sembrerebbe essere a portata di mano. L’eccezionalità del momento, però, chiede a noi, e a tutte le forze politiche, in primis quelle che fino a ieri sono state al governo, di anteporre il bene del Paese agli interesse di bottega. Della solidità e del senso di responsabilità del Pd – che saranno determinanti  per il buon esito del tentativo di Napolitano di dare vita ad un nuovo governo - bisogna dare atto al coraggio ed alla correttezza del segretario Pierluigi Bersani, che sta tenendo dritta la barra non senza difficoltà. Qui si misura la cultura di governo e la funzione nazionale di un partito. Qui si coglie la differenza tra i grandi partiti che, come scriveva Tocqueville, rovesciano la società e i piccoli che invece la agitano. Il Pd, che ambisce ad essere un partito a vocazione maggioritaria, sta dimostrando di essere pronto a prendersi cura del bene comune, pagando il prezzo più alto quanto a interesse di parte, sostenendo i provvedimenti e le riforme che l’Europa ci sta chiedendo con urgenza. Ciò che chiediamo è che, diversamente da quanto ha fatto il Governo Berlusconi-Bossi, essi siano improntati non al cieco rigore dei tagli lineari, ma a tre obiettivi tra loro ineludibili: risanamento, crescita ed equità. Senza crescita e senza giustizia sociale, non c’è risanamento possibile, perché salta l’indispensabile coesione sociale.

Se il Pd sta dimostrando grande senso di responsabilità in questo drammatico momento, non è così per la Lega, che con stupefacente faccia tosta antepone il proprio interesse di bottega al bene del Paese. C’è da rimanere esterrefatti di fronte alle dichiarazioni dei dirigenti leghisti, anche locali, perché, dopo che proprio loro che ci hanno portato sull'orlo del baratro, fallendo tutti gli obiettivi politici che si erano preposti, a partire dalla riforma federalista, ora rincorrono il comodo rifugio della lotta dall'opposizione. Diciamo le cose come stanno: questo non è stato il governo solo di Berlusconi, ma il Governo di Berlusconi e Bossi. Il ministro per le riforme è stato Umberto Bossi, quello che avrebbe dovuto attuare la semplificazione Roberto Calderoli, autore di una legge elettorale da lui stesso definita ‘porcata' che ha ridotto i parlamentari a nominati se non addirittura cortigiani. E il potentissimo ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, è stato l'uomo blindato dal Carroccio. Come possono pensare che gli elettori siano degli idioti che credono che tutte le colpe sono solo di Berlusconi, Sacconi e company? Forse sperano di lucrare voti agitando le piazze contro chi sarà chiamato ad assumersi l'onere di fare scelte difficili e impopolari, quelle scelte che avrebbe dovuto fare proprio il Governo di Berlusconi e Bossi negli otto degli ultimi dieci anni in cui ha governato il Paese. Sono convinta però che gli elettori non li seguiranno su una rotta che mira al fallimento dell'Italia. Lo stesso Bossi, nelle ultime dichiarazioni, proprio perchè si rende forse conto di ciò sta abbassando i toni, dichiarando che, pur stando all’opposizione, la Lega deciderà di volta in volta come votare.

Per certi versi anche Di Pietro ha cercato di tenere la stessa linea di speculazione elettorale della Lega, ma non tutta l’Idv è d’accordo con lui: sia alcuni dirigenti e parlamentari, sia la base hanno criticato la posizione del leader dell’Idv, costretto quindi a fare marcia indietro, anche per la pressione dello stesso Pd, che ha fatto presente di non essere disponibile ad accettare una posizione di comoda opposizione oggi in Parlamento da parte di chi poi vorrebbe essere nostro alleato nelle prossime elezioni. Se si sta insieme si devono dividere oneri ed onori.

Del resto se sarà varato il nuovo Governo Monti, molte cose sono destinate a cambiare nel panorama politico italiano, e anche per noi del Partito democratico. Nessuno potrà più vivere di antiberlusconismo, nemmeno dalle nostre parti. Soccomberanno quelli che dicono sempre “no” e dovremo supportare e spiegare un’azione di governo durissima e difficile, che toccherà tutti. Ma essere classe dirigente significa farsi carico, anche a costo di sacrifici personali, di portare l’Italia nel futuro.

pubblicata il 13 novembre 2011

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