Violenza sulle donne: il mostro è tra le mura domestiche

27 novembre 2011

violenza_donneSono allarmanti i dati Istat resi noti venerdì scorso in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne: in Italia, quasi un terzo della popolazione femminile, tra i 16 ed i 70 anni, è stata vittima di violenza, almeno una volta nella vita. Di queste, più di un milione sono state stuprate. In 9 casi su 10, lo stupro non è stato denunciato. Una donna su sette ha subito violenza dal marito, fidanzato, compagno. Tolti i violenti e violentatori seriali (come nel caso recente che ha visto vittima una giovane studentessa trevigiana nei pressi della stazione di Treviso, per fortuna già finito in carcere), stando ai dati ISTAT, è ragionevole stimare che almeno un quinto degli uomini ‘normali’ abbia usato violenza, almeno una volta nella vita, nei confronti di una donna.

Lo scorso marzo, il Parlamento Europeo ha approvato una Risoluzione sulla violenza contro le donne in Europa (clicca qui), nella quale sono formulate una serie di proposte. Anche il Parlamento Europeo ha evidenziato come il più delle volte la violenza sessuale avviene proprio tra le mura domestiche, in famiglia o tra conoscenti, e come in tali casi quasi mai la vittima ha la forza di denunciare il proprio compagno. Credo che ciò trovi spiegazione in sentimenti di vergogna ed imbarazzo, nel timore dei contraccolpi nella rete delle relazioni parentali, nella totale dipendenza economica della donna dal violentatore, in un malinteso senso del valore della ‘famiglia’. A volte le donne subiscono in silenzio pensando infatti che con il loro ‘sacrificio’ tutelano meglio i propri figli o l’integrità della famiglia stessa. Non mi stancherò mai di ripetere che – al centro della nostra Costituzione e della stessa fede cristiana – il valore fondante è quello della dignità della persona, uomo o donna che sia, e che la stessa ‘famiglia’ è un valore in quanto sia a servizio dello sviluppo integrale della persona umana. La famiglia è la base della società perché è la prima, fondamentale, comunità in cui la persona viene accolta, curata, aiutata a crescere e svilupparsi nelle sue aspirazioni e potenzialità.  Dove c’è violenza, abuso, umiliazione sulle persone invece non c’è autentica famiglia.   

La scorsa settimana incontrando le responsabili del Telefono Rosa di Treviso (attivo ufficialmente dal 1991) ho avuto la conferma che si tratta di una piaga ancora da estirpare anche nel nostro territorio. La violenza sulle donne nella Marca, in questo 2011 non ancora concluso, ha spinto 134 vittime, di cui 30 straniere, a rivolgersi al Telefono Rosa per chiedere aiuto. Sono 31 le donne che vivono nel capoluogo che si o presentate al Telefono rosa da gennaio. Venti provengono da Pedemontana e dall’area nord della Destra Piave, ben 50 dalla fascia meridionale della Destra Piave, 9 dalla Sinistra Piave e 6 da fuori provincia. Le vittime si collocano soprattutto nelle fasce d’età dei 40-49 anni e dai 30 ai 39 anni. A chiedere aiuto sono in particolare le donne separate, con un diploma, lavoratrici e madri con figli minorenni. La forma di violenza più denunciata è quella psicologica, ossia le umiliazioni continue (61 casi), seguita da quella fisica (38), familiare (28) ed economica (25). Lo stalking, la persecuzione, è stato denunciato da 16 donne, la violenza sessuale da 6. In 17 hanno chiesto aiuto al Pronto soccorso, 33 si sono rivolte alle forze dell’ordine, 37 hanno chiesto aiuto a medici di base, assistenti sociale e consultori. Se il fenomeno è costante nei numeri in questi anni, spicca l’aumento di donne straniere.  Poiché sappiamo che i numeri ci raccontano solo la punta dell’iceberg, la diffusione del fenomeno della violenza sulle donne riflette purtroppo una visione ‘culturale’, meglio sarebbe dire una mentalità anche nel nostro mondo occidentale che continua ad essere di ostacolo per l’affermazione della pari dignità e della piena parità tra uomo e donna e per il riconoscimento della ricchezza della differenza di genere in tutti i settori della vita. In Italia le donne, oltre a subire violenze, vengono ancora discriminate nel mondo del lavoro, non sono ancora rappresentate in modo adeguato nella politica, su di loro pesa gran parte del lavoro famigliare e di cura. Combattere la violenza sulle donne significa dunque anche promuovere una cultura (ed una società) più inclusiva, più giusta, più democratica. Le responsabili del Telefono Rosa di Treviso mi hanno sottoposto una proposta - da trasformare in eventuale disegno di legge -, ovvero quella che l'ordinamento si occupi non solo della presa in cura della donna che ha subito violenza, ma anche del maschio abusante, per prevenire la continuazione di ulteriori violenze, a carico anche di altre donne, pensando a una proposta di percorso terapeutico obbligatorio o anche volontario, da scegliere in alternativa al processo e alla sanzione penale. E' davvero una proposta interessante, sulla quale ben volentieri ho dato la mia disponibilita' ad impegnarmi

Significativa è stata anche l’iniziativa promossa dall’assessore alla Cultura dell’Amministrazione Comunale di Roncade – Chiara Tullio - giovedì scorso nella nostra biblioteca. Marina Feltri, pseudonimo di un’autrice trevigiana, ha presentato il suo libro ”Un grido al cielo” (Michael Edizioni) che racconta una storia di violenza realmente vissuta. E’ stata un’occasione per rendere partecipe il pubblico alle problematiche e alle dinamiche di vicende tristi e crude che capitano alle donne, in famiglie ‘normali’. Il racconto è uno spaccato di esistenza e, nonostante tutto, un inno alla vita che può aiutare le donne che subiscono nel silenzio ad uscire dal buio per riprendersi la loro dignità e riconquistare la speranza.

pubblicata il 25 novembre 2011

ritorna
 
  Invia ad un amico