Analisi elezioni comunali 2012: è urgente un forte cambiamento

11 maggio 2012

elezioni

La tornata elettorale amministrativa svoltasi lo scorso fine settimana ha confermato che gli elettori guardano prima di tutto alle persone e premiano quelle che appaiono capaci di interpretare i loro bisogni con un progetto di governo credibile, a prescindere dai partiti a cui fanno riferimento. Quando si trovano di fronte a personalismi, divisioni o a scontri per il potere, privilegiano chi sa offrire una proposta politica di forte cambiamento rispetto al passato. E in questa logica a farne le spese sono stati questa volta soprattutto i partiti di Centro Destra, protagonisti del fallimentare governo Berlusconi-Bossi. Il calo di consensi registrato da Pdl e soprattutto dalla Lega in Veneto, e ancor più in Lombardia, è la vera notizia di questo turno elettorale, non smentita dalla riconferma di quei sindaci che avevano saputo accreditarsi presso i cittadini a prescindere dalla loro appartenenza al Centro Destra.

Ma il voto amministrativo ha confermato la sfiducia dei cittadini in tutti i partiti tradizionali, aggravata dai recenti scandali che hanno rafforzato l'onda dell'indignazione popolare che si traduce in una richiesta di radicale cambiamento della classe politica. Contrariamente a molte previsioni (e anche da quanto successo in Francia), l'elettorato non ha punito i partiti che sostengono il governo dell'austerità di Monti e non ha premiato quelli che gli fanno opposizione. Il Pd ha tenuto, o meglio, ha perso meno di altri, ma è stato sconfitto nella sua ambizione di raccogliere parte degli elettori moderati delusi dal "berlusconismo" e dal "leghismo".

Gli elettori hanno saputo distinguere sulle responsabilità di chi ha governato per otto degli ultimi dieci anni il Paese, portandoci sull'orlo del baratro, ovvero il Pdl (che al nord cala del 61 per cento rispetto al 2010) e la Lega Nord, alla quale non è bastata la dura opposizione fatta in Parlamento a Monti per recuperare l'effetto degli scandali (in percentuale il partito di Bossi arretra più di tutti, del 67 per cento). Ma neanche l'Idv ha lucrato dall'opposizione (ha perso infatti la metà del proprio elettorato rispetto al 2010). Appare evidente anche che gli elettori non vedono ancora un'alternativa politica al Governo Monti, nonostante  l'assenza di efficaci politiche di crescita (sulla cui introduzione si sta oggi spendendo il governo italiano, anche sulla scia dell'esito delle lezioni francesi e greche) sia percepita sempre più dai cittadini come il rischio che si realizzi un circolo vizioso austerity-recessione-austerity socialmente insostenibile, tanto nei paesi periferici quanto in quelli più forti dell'Eurozona. Per questo noi del Partito Democratico dobbiamo batterci perché l'Esecutivo tecnico valuti più attentamente la sostenibilità sociale nell'inevitabile quadro di austerity, avendo al contempo il coraggio e la lungimiranza di avviare, senza preconcetti, anche le ulteriori misure necessarie per un definitivo consolidamento della moneta unica e comunicando efficacemente ai cittadini, a partire dai più giovani, i vantaggi che da queste deriverebbero.

Se rispetto alla debacle del Centro Destra la sostanziale tenuta del Centro Sinistra dimostra che nelle elezioni comunali abbiamo saputo resistere all'assalto del movimento dei grillini, occorre non incedere a facili ed infondati entusiasmi, tanto più che dalle analisi che tengono conto sia dei dati percentuali che di quelli in voti assoluti (clicca qui) risulterebbe che il Pd ha perso quasi il 30% nelle città del Nord. In un contesto di aumento del dato dell'astensione solo l'analisi condotta sui voti assoluti consente, infatti, di cogliere il dato reale, mentre di per sé il solo dato percentuale potrebbe far ritenere che una coalizione superi quella opposta per il semplice motivo che ha perso meno voti degli avversari. Il quadro generale che esce dal voto del 6 e 7 maggio scorsi presenta così molti segnali preoccupanti: dalle urne lunedì scorso è uscito uno scenario politico sempre più frammentario. Considerato che tra un anno si vota per rinnovare il Parlamento nazionale, rischiamo davvero di arrivare ad una situazione di ingovernabilità simile a ciò che sta accadendo in Grecia. La prima analisi di Roberto D'Alimonte (clicca qui), che  ha comparato i risultati comunali dei capoluoghi con le ultime regionali, dimostra, anche se parzialmente, che la somma dei cosiddetti ‘due grandi partiti popolari', quelli che dovrebbero essere le colonne del bipolarismo, è ora al 32% (soltanto 2 anni fa era al 56,6%)! La Grecia, dove Nea Dimokratia e Pasok raccolgono anch'essi assieme il 32,3%, non è poi così lontana.

I risultati elettorali sono quindi anche una chiara bocciatura della bozza di legge elettorale approntata dal triumvirato ABC, il che dovrebbe indurre i partiti principali a volgere lo sguardo al modello francese del doppio turno che, con un meccanismo analogo a quello già con successo sperimentato in Italia nei comuni sopra i 15 mila abitanti, attraverso il ballottaggio, consente di rimettere ordine nel sistema frammentato attorno ai due blocchi elettorali. Ricordando che rifarsi al modello francese, così come a quello dei nostri comuni, significa non sono solo doppio turno, ma anche l'elezione diretta del Presidente e da noi del Sindaco. Mi auguro che i dirigenti nazionali del Partito Democratico  rinsaviscano, abbandonando l'idea del ritorno al proporzionale (peraltro proposto proprio da un esponente del PD, ovvero Violante), incomprensibile per i cittadini e deleterio per lo stesso PD, sostenendo piuttosto il doppio turno alla francese  o un maggioritario con collegi uninominali di dimensioni contenute affinchè il governo esca dalle urne e non da accordi in Parlamento. E mi auguro che si incalzino le altre forze politiche su questo tema, per avere nel 2013 una nuova legge elettorale che permetta ai cittadini di scegliere i parlamentari e garantisca la governabilità.

Oltre a questo, essendo il 2013 quanto mai vicino, dobbiamo mettere in campo un coraggioso ed innovativo progetto riformatore del Paese, dando voce soprattutto alle fasce sociali più colpite dalla crisi e a quella parte della classe media che oggi sopporta il peso maggiore del risanamento dei conti pubblici a cui siamo stati costretti dalle politiche dissennate di dieci anni di governo del Centro Destra. Così pure occorre che il Pd si dimostri capace di dare voce e rappresentanza al Nord del Paese, quel nord che per anni ha affidato tutte le sue speranze - e il suo consenso elettorale - proprio alle forze politiche del Centro Destra e che ora, dopo il crollo di Lega e Pdl, rischia di rimanere ancor più sottorappresentato sul piano politico nazionale. I dati mettono in evidenza infatti che è soprattutto al Nord (e in parte nella Zona rossa) che sia il centro-destra che il centro-sinistra, sia i partiti maggiori, perdono il maggior numero di consensi. Anzichè inventare nuovi contenitori per il Settentrione, penso sarebbe più efficace dimostrare alla società settentrionale che siamo in grado di realizzare il cambiamento necessario al Paese riformando per primo il nostro partito in senso davvero federale e promuovendo un radicale cambiamento della sua classe dirigente, oltre che della linea politica. Visto che il Terzo Polo (dai nostri dirigenti così tanto inseguito e corteggiato) continua ad essere molto lontano dal divenire riferimento dei cosiddetti moderati, vogliamo provare - in coerenza con la vocazione maggioritaria fondativa del Pd - a parlare anche a quella c.d. grande area moderata che ha perso ogni riferimento e cerca una risposta credibile? Ho sempre pensato che ci sono spazi di espansione per il Pd in quest'area, per rappresentare ad esempio le piccole e medie-imprese, soprattutto del Nord. Certo, dobbiamo avere finalmente il coraggio di diventare, da partito dei lavoratori, partito del lavoro con un forte legame al territorio.

Ringrazio per questo tutti i candidati del Pd che hanno lottato nelle elezioni comunali del Veneto, congratulandomi per le splendide vittorie di alcuni nostri sindaci  e facendo gli auguri a quelli ancora impegnati nei ballottaggi. Ogni consigliere comunale eletto costituisce una risorsa preziosa per proseguire. Grazie proprio a questi candidati e ai tanti volontari che si sono impegnati il Pd, senza negare le difficoltà e la sconfitta, rimane un partito autentico, animato dalla passione dei suoi militanti e dall'intraprendenza dei suoi amministratori. Ma occorre riconoscere che non sono stati aiutati nel loro sforzo da un Pd veneto capace di intercettare il forte malessere espresso dalla società veneta, e in modo particolare dal mondo della piccola e media impresa, vero motore trainante, fino a qualche anno fa, della crescita economica. Per questo è urgente mettere in campo una forte iniziativa sui temi più sentiti in questa area del Paese, primi fra tutti quello di un fisco oppressivo, di una burocrazia (anche regionale) elefantiaca, di una riforma strutturale dei livelli di governo in senso autenticamente federalista. E essere in grado alle prossime elezioni politiche di scegliere i nostri candidati sul territorio, senza paracadutati dalla segreteria romana.

Ma anche il credito di cui gode ancora il Partito Democratico a livello nazionale rischia di venir meno rapidamente se non sarà capace di diventare un luogo di effettiva partecipazione civica e politica, secondo la sua originaria vocazione. Ci ricordiamo che poco più di 4 anni fa il PD era nato proprio sulla base di forti regole di democrazia interna e partecipazione? Rivista ora l'idea originaria del PD appare anticipatrice, perché si proponeva di sostituire una democrazia partecipativa ad una democrazia leaderistica, una politica aperta alla società ad una democrazia chiusa nelle stanze del potere. Il PD si proponeva come partito nuovo nel modo di relazionarsi con la società e di interpretarla, comprendendo e rappresentando ogni area della società e del Paese. Ricordiamo tutti le idee di PD del Nord. Cosa è rimasto di questo? Perché si è abbandonata la vocazione maggioritaria per la ricerca delle alleanze? In una fase politica come quella attuale non contano le alchimie politiche, non è fondamentale la scelta degli alleati. Serve una precisa identità, una chiara idea di "Paese" che si vuole realizzare da presentare agli elettori, a tutta a società, arruolando nuovi soggetti alla partecipazione civica e politica, anche in forza delle straordinarie competenze richieste da un mondo sempre più complesso. 

Il Pd per salvarsi dalla deriva dell'antipolitica deve dimostrare in fretta di saper auto-riformarsi per dare attuazione a ciò che prevede l'art. 49 della nostra Costituzione, che mette al centro i cittadini e il loro diritto a partecipare per determinare la politica nazionale, considerando effettivamente il partito come uno strumento nelle mani dei cittadini e non come l'apparato protagonista della politica in virtù di una delega in bianco come un tempo. Questa è  la forte domanda che arriva da larga parte della società civile. Lo testimonia il grande risultato ottenuto dal Movimento 5 Stelle, che non va assolutamente demonizzato tacciandolo di populismo antipolitico. Dietro a Beppe Grillo, che è il mattatore e lo show-men utile a catalizzare l'attenzione dei media, ci sono tanti cittadini, e in particolare giovani, volenterosi di dare il proprio valido contributo al governo delle loro città, segno di una rinnovata e positiva voglia di partecipazione. Certo anche per qualcuno di loro è arrivato ora il momento della responsabilità, di cimentarsi cioè con il governo dei problemi concreti delle comunità. Ma il loro impegno è comunque un modo, sia pure alternativo rispetto al passato, di far politica. Un risultato, quello dei ‘grillini' che ha stupito soprattutto le forze politiche che oggi si dichiarano oppositori del Governo Monti e che proprio per questo erano convinte di catalizzare il dissenso. Non è così: chi è arrabbiato non vota per chi sta nel sistema, e anche Vendola come Di Pietro vengono assimilati al potere.

I partiti dovrebbero preoccuparsi molto di più dell'impolitica, cioè dell'indifferenza di larga parte dell'elettorato che ha voltato le spalle alla politica, come dimostra l'ulteriore calo di affluenza alle urne (quasi il 7%) nell'elezione del sindaco, che è sempre stata l'istituzione sentita più vicina dalla gente. E' questo 34% (un elettore su tre e chissà quale sarebbe stato il dato se si fosse votato ora alle politiche) che dobbiamo recuperare. Come? A fatti e non a parole, attraverso prima di tutto una riduzione dei costi della politica e una seria riforma dei partiti, ridotti ormai ad apparati costosi ed oligarchie spesso personali, mascherate dietro a logore etichette. Attraverso anche una radicale modifica del sistema del loro finanziamento che, come ho proposto nel mio disegno di legge, deve essere non solo dimezzato, ma anche sottoposto alla decisione degli elettori, mentre ho l'impressione che la proposta concertata in questi giorni in Commissione Prima della Camera, e che sarà discussa e votata in Aula la prossima settimana, non sia una risposta sufficiente. Attraverso un forte segnale di ricambio della classe dirigente, valorizzando chi dimostra di essere capace di raccogliere il consenso degli elettori oltre il recinto dei voti del partito, soprattutto qui in Veneto.


pubblicata il 11 maggio 2012

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