Tra gli intenti del Pd centrale il rilancio dell'unità e dell'integrazione politica dell'Europa

05 agosto 2012

euNella Carta degli intenti presentata martedì 31 luglio  (clicca qui) dal segretario nazionale del Pd, Pierluigi Bersani, è sicuramente centrale il tema della necessità di "rilanciare l'unità e l'integrazione politica dell'Europa". Se vogliamo uscire dal tunnel in cui siamo finiti non possiamo più considerare sufficiente ragionare negli spazi angusti di una politica protagonista nel ristretto spazio nazionale, perché, come ha affermato il filosofo Habermas, in Europa serve più democrazia e meno mercati finanziari. E dunque occorre che i cittadini possano partecipare a decidere i problemi dell'Europa: "Solo una discussione democratica che affronti a trecentosessanta gradi il futuro comune della nostra cittadinanza europea potrebbe produrre decisioni politicamente credibili, capaci cioè di imporsi ai mercati finanziari e agli speculatori che puntano sulla bancarotta degli stati" (clicca qui).

Mentre il motivo originario dell'idea dell'Unione Europea, quello di rendere impossibili nuove guerre in Europa, è sembrato in questi anni essere esaurito, le energie favorevoli all'Europa si sono andate consumando: da un lato per le discussioni politico-costituzionali sul Trattato di Lisbona, dall'altro perché il dibattito attuale si è ristretto al problema economicistico delle vie d'uscita dalla crisi bancaria, monetaria e debitoria. I leader dei Paesi europei dovrebbero riconoscere gli errori di una costruzione dell'unione monetaria senza le necessarie capacità politiche di governo economico a livello europeo. E invece il ‘Patto per l'Europa' ripete lo stesso errore: si procede per accordi giuridicamente non vincolanti stabiliti nella cerchia dei capi di governo (legittimati ciascuno solo dalla rispettiva base elettorale di ciascun paese, peraltro su un mandato di governo in sede nazionale), che poi risultano giocoforza privi di effetto e comunque non democratici. Habermas descrive l'attuale situazione in modo molto incisivo ed efficace: "Tutti i governi coinvolti sono privi di coraggio e si dibattono perplessi ed intrigati tra gli imperativi delle grandi banche e delle agenzie di rating da un lato, e la loro paura dell'incombente perdita di legittimazione presso le loro frustate popolazioni dall'altro (...). I trends degli ultimi due decenni, ben documentati dalle statistiche, mostrano che nella maggior parte dei Paesi dell'Ocse ineguaglianza sociale e insicurezza di status sono aumentate, benché i governi abbiano coperto il loro bisogno di legittimazione con debiti statali in vertiginosa crescita. La crisi finanziaria che persiste dal 2008 ora ha bloccato anche il meccanismo dell'indebitamento statale. E per il momento non si riesce a vedere come le politiche di austerità possano alla lunga conciliarsi con la conservazione di un livello sostenibile dello Stato sociale. Le rivolte giovanili sono un segno premonitore del pericolo che la pace sociale sta correndo".

Manca una prospettiva di ampio respiro, mentre in queste condizioni occorre proprio colmare lo squilibrio fra la forza dei mercati e la forza regolatrice della politica, dando vita ad un vero e proprio governo dell’economia europeo: Trichet ha parlato di un ministero delle finanze comune, mentre il ministro tedesco Schauble – il più europeo del gabinetto Merkel – ha indicato l’elezione diretta di un presidente dell’Unione Europea, consapevole della necessità di una legittimazione democratica dei nuovi poteri in sede europea. Dobbiamo superare l’attuale ‘federalismo esecutivo’, che altro non è che l’attuale tecnocratica struttura di governo, legittimando democraticamente il trasferimento di competenze in atto dal piano nazionale a quello europeo. "Di fronte al peso inaudito dei problemi - scrive Habermas - sarebbe da attendersi che i politici, senza se e senza ma, finalmente mettessero le carte europee in tavola e con piglio aggressivo chiarissero alla popolazione il rapporto tra costi a breve termine e utilità vera, dunque l'importanza storica del progetto europeo. Dovrebbero superare la loro paura  delle tendenze d'opinione emergenti dalle indagini demoscopiche e confidare nella forza persuasiva dei buoni argomenti. Davanti a un passo del genere tutti i governi interessati arretrano, tutti gli uomini politici per ora si tirano indietro. Molti si affidano invece ad un populismo che essi stessi hanno allevato occultando un tema complesso e non amato. Alla soglia che dall'unione economica porta a quella politica dell'Europa la politica sembra trattenere il fiato e stringere il capo tra le spalle".

Basti pensare che colui che si sta spendendo in modo più convinto e forte per il progetto europeo è un non politico come il Presidente Monti, il quale sta non solo attrezzando l'Italia verso una maggiore integrazione europea con le riforme in stallo da decenni, ma sta anche indicando agli altri leaders politici europei la strada di quel progetto e l'interesse che tutti i loro paesi hanno nel suo procedere in avanti, al punto da promuovere un dialogo comune che superi le incomprensioni, anche nelle capitali nordeuropee, come la Finlandia. In Italia, poi, oltre ai populismi leghista, grillino e di pietrista, sta risorgendo anche quello dell'ex premier Berlusconi, che annusa l'aria dei sondaggi e sente un'opinione pubblica frastornata, alla quale suggerisce che l'uscita dall'euro ci riporterebbe all'età dell'oro della svalutazione della lira (e dei mutui a due cifre per l'acquisto di una casa...). Si capisce allora perché questo clima determini un'estrema incertezza politica, con la scadenza elettorale delle prossime elezioni in vista, mettendo ulteriormente in fibrillazione i mercati. Mentre si dovrebbe portare fuori dal consesso dei soli capi di governo la discussione sulle riforme istituzionali necessarie all’integrazione europea. Ad es. quale forma federale dare all’Europa, ovvero quali compiti affidare alle istituzioni europee e quali alle istituzioni nazionali a garanzia dei diritti e delle libertà costituzionali dei cittadini, che avranno più chiaramente una doppia cittadinanza, nazionale ed europea. Ancora, quali strumenti approntare per l’unione economica, come bilancio federale, eurobond, sorveglianza bancaria, con quali istituzioni, come un ministro delle finanze europee, un parlamento federale, ecc. Di questo si dovrebbe parlare per sottoporre le proposte all’esame delle opinioni pubbliche, in particolare in vista delle prossime elezioni europee del 2014, per dare legittimazione democratica alle politiche fiscali europee, spiegando ai cittadini che i costi e sacrifici richiesti a breve sono necessari per garantire prosperità e sostenibilità al welfare europeo.  Infatti, “di fronte alla crescita sregolata della complessità globale che restringe sempre più l’autonomia dello Stato nazionale, la funzione normativa della democrazia richiede che l’azione della politica si espanda al di là dei confini nazionali” (così  lucidamente sempre Habermas). Monti, ben consapevole di questo, sta anche lavorando perché la stessa Unione Europea si renda conto del rischio che le opinioni pubbliche dei paesi in difficoltà siano preda delle forze antisistema, populiste ed antieuropeiste e se ne faccia carico con l’attuazione rapida ed efficace delle decisioni assunte all’ultimo vertice di fine giugno, per ricostituire la fiducia nei cittadini nel progetto europeo.

Questa è la sfida principale delle prossime elezioni e le forze politiche che possono governare l'Italia in questa direzione non possono che essere quelle che due settimane fa hanno votato il fiscal compact in Parlamento. Il Partito Democratico ne è stato l'asse fondamentale (clicca qui) e nella Carta degli Intenti questa responsabilità è stata riaffermata con chiarezza. Certo, dovremo evitare che un tema di questa centralità venga mediaticamente annullato da quello sulle unioni civili, rischiando così di dissipare la credibilità in questo periodo acquisita anche presso l'elettorato moderato - che non ci aveva votato nel 2008 o che non ci ha più votato dopo il 2008 –. Oggi è prioritario arrivare al governo del Paese parlando alla maggioranza degli italiani, oltre che al nostro elettorato tradizionale, e per la maggioranza degli italiani le unioni gay non sono probabilmente un problema, ma non sono di sicuro il problema prioritario. Come pure occorre recuperare l’originaria vocazione maggioritaria del Partito Democratica, enucleando con grande chiarezza i punti chiave di un programma - sostenibile finanziariamente - per governare l’Italia in Europa nel prossimo decennio (come ad es. una riforma degli enti locali a partire dalle regioni, incluse quelle a statuto speciale, la riforma del fisco con la riduzione delle imposte sui redditi da lavoro e da impresa, la riforma della Pubblica Amministrazione come strumento di supporto di imprese, famiglie e cittadini, l’istituzione di reddito minimo di cittadinanza per chi non ha né lavoro, né pensione), che siano in rapporto di continuità con quel che ha fatto sin qui il governo Monti, visto che lo  stiamo sostenendo in Parlamento, piuttosto che ripiegare nella superata discussione delle alleanze. Perché davanti al prossimo Parlamento italiano – come ha osservato dir recente Attali – non c’è solo la scelta tra una politica buona e una cattiva, ma tra una politica molto difficile e dolorosa e una politica catastrofica. E perché se l’Italia dovrà sottoscrivere un memorandum per garantirsi lo scudo antispread i programmi elettorali di vecchio stampo rischiano di essere carta straccia ancor prima di scriverli. In sostanza penso che Bersani dovrebbe raccogliere il consiglio dell’ex Ministro Vincenzo Visco: “Cerchiamo di ragionare lucidamente, evitare confusioni e predisporci ad affrontare le questioni reali poste da una situazione davvero difficile. A meno che non si ritenga di dover limitare il ruolo della sinistra a quello di mera testimonianza” (vedi l'articolo pubblicato su L'Unità del 14 luglio scorso).

pubblicata il 05 agosto 2012

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