Spending review da migliorare per evitare i tagli lineari

10 agosto 2012

spesaL'Aula martedì 7 agosto scorso ha dato il via libera alla conversione in legge del decreto n. 95/2012 sulla Spending review con 371 sì, 86 no e 22 astensioni. Il testo non è stato modificato nel passaggio alla Camera, per cui è il risultato delle modifiche introdotte dal Senato al provvedimento governativo. Vi allego una nota con la sintesi dei contenuti (clicca qui). Il giudizio del Partito Democratico sul provvedimento è quello che risulta dalla dichiarazione di voto del Gruppo: bene la spending review, bene aver evitato l'aumento dell'Iva almeno sino al giugno 2013, bene l'ampliamento della tutela ad altri 55.000 ‘esodati', bene il sostegno ai comuni colpiti dal sisma, ma ci sono correzioni che vanno apportate quanto prima per evitare che la spending review risulti in contraddizione con i suoi stessi obiettivi dichiarati, ovvero colpire gli sprechi e ridurre la spesa pubblica in modo da riallocare la risorse senza ridurre i servizi ai cittadini.

Non vi è dubbio che l'attuale crisi della finanza pubblica impone alle amministrazioni pubbliche di migliorare i propri processi di spesa, anche su pressione di una positiva e forte pressione dell'opinione pubblica. La spending review costituisce uno strumento utile in tale direzione a condizione di essere adeguatamente progettato. Non deve ridursi ad una riduzione analoga ai tagli lineari, omogenei e indifferenziati per tutte le categorie di spesa, di tremontiana memoria. Tecnicamente, infatti, il taglio della spesa è solo uno dei percorsi che la spending review può intraprendere e, soprattutto, la spesa non è che una delle due componenti che  tale strumento prende in considerazione. E' corretto parlare di spending review solo se l'amministrazione pubblica, oltre alla spesa (input), analizza anche il livello di risultati che tale spesa produce, in termini di attività e servizi (output) e di capacità di soddisfare i bisogni e gli interessi della collettività (outcome). In proposito, è possibile configurare due tipologie di revisione della spesa: una di carattere stra­tegico, che mette in discussione (e quindi restringe) le politiche pubbliche e i programmi dell'amministrazione, per allocare le risorse pubbliche in base alla priorità assegnata ai diversi programmi di intervento e in base al livello di performance raggiunto; ed un'al­tra, di carattere funzionale, caratterizzata invece da un processo volto a identificare inefficienze nell'erogazione di servizi pubblici per recuperare livelli crescenti di efficienza ed eliminare duplicazioni nel processo di erogazione di servizi. Dal titolo del decreto legge n. 95/2012 ("Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini") l'obiettivo datosi dal Governo dovrebbe essere riconducibile al tipo funzionale ed è pertanto particolarmente ambizioso, perché non è agevole ridurre la spesa pubblica italiana senza ridurre i servizi se si consi­dera il fatto che la spesa pubblica primaria italiana si presenta già tra le più basse d'Europa, in rapporto al prodotto interno lordo (così il Rapporto Giarda).

Particolari problemi si pongono rispetto all'impatto del provvedimento sugli enti locali, poiché esso non valuta sufficientemente i bisogni dei cittadini che tali amministrazioni devono soddisfare e i risultati che esse hanno conseguito. In partico­lare, non si può non riconoscere che, ove non si trovi l'intesa sulla ripartizione dei tagli in Conferenza Stato-Autonomie Locali, il ministero dell'interno è autorizzato a ripartire il taglio di oltre due miliardi l'anno solo per i Comuni in proporzione alla sola spesa per i consumi intermedi (acquisto di beni e servizi), esclusa quella per il per­sonale. Vi è quindi il concreto rischio di penaliz­zare ulteriormente e di più proprio gli enti virtuosi. Lo stesso Ministro Giarda - ammettendo i limiti dei rozzi criteri del provvedimento, seguito da ultimo dallo stesso Sottosegretario all'economia Polillo - ha espresso la necessità di utilizzare come parametro per valutare l'apporto degli enti territoriali al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica almeno il complesso della spesa corrente dei medesimi, comparandolo per fasce demografiche. E' necessario superare le vecchie logiche ed entrare nel merito delle diverse categorie di spesa, eliminando quelle improduttive e valorizzando quelle strategiche, inducendo tutti gli enti a ricercare un continuo collegamento tra livelli di spesa e risultati effettivamente prodotti. E' necessario riconnettere la spending review con i processi di attuazione del Federalismo fiscale: come ho proposto in un ordine del giorno accolto dal Governo lo scorso 4 luglio in Aula occorre accelerare l'elabora­zione dei costi e dei fabbisogni standard. Perché la spending review è uno strumento importante di miglioramento delle Pa se attua il confronto sistematico di performance tra amministrazioni similari e la ricerca del benchmark, ovvero del valore di riferimento al quale tendere. Nulla, o poco, di tutto ciò si fa nel nostro Paese, accettando passivamente disparità clamorose di rendimento tra le amministrazioni, come ad es. l'ultimo caso della Sicilia. Ma non solo: il Sole 24 ore del 7 maggio scorso ha evidenziato come la spesa procapite per i servizi generali della Pa sia la più bassa in Veneto (pari a 1.566 euro procapite), massima in Molise (pari a 3.253 euro), mentre la media nazionale è pari a  2.169 euro. Andare a verificare nel merito questi dati è l'obiettivo di una corretta spending review. 

Occorre più trasparenza, quindi, sull'uso e la produttività delle risorse pubbliche, più confronti tra amministrazioni per meglio valutare le singole performance e promuovere interventi mirati sulle amministrazioni meno virtuose. Tutto questo richiede una responsabilizzazione diffusa di tutte le amministrazioni, e qui sta la differenza tra la spending review come intervento una tantum o come un nuovo modo di amministrare che faccia della qualità e dell'efficienza della spesa i propri pilastri portanti.

Invece, su un intervento che a regime vale 11 miliardi di euro, una parte molto consistente deriva dai tagli ai trasferimenti agli enti locali e dall'inasprimento del patto di stabilità per le Regioni senza una vera operazione di spending review, in modo slegato da piani industriali e processi di razionalizzazione che entrino nei meccanismi di dettaglio del merito della spesa e di confronto delle performance delle amministrazioni. In pratica, il rischio è che si tratti solo di una manovra: si indicano le cifre che si vogliono risparmiare e poi si demanda a un confronto tra lo Stato e le autonomie la ripartizione di questi tagli, molto simili quindi ai tagli lineari di tremontiana memoria. Con la conseguenza che, anziché raggiungere l'obiettivo di una vera spending review, che è quello di migliorare la qualità ed il rendimento della spesa pubblica, si rischia di penalizzare gli utenti di una serie di servizi essenziali, che sono gestiti dagli enti locali, in una fase in cui già c'erano già molte difficoltà in ragione dei tagli delle precedenti manovre.

Ho presentato un emendamento all'art. 16 comma 6 del decreto legge, per cercare di migliorare almeno parzialmente il provvedimento sotto questo profilo (clicca qui), ma l'apposizione della fiducia ha precluso ogni discussione sul merito.

Per questo con la Collega Sbrollini, abbiamo poi presentato un ordine del giorno (clicca qui) che (riprendendo l'obiettivo di quello che avevo presentato il 3 luglio scorso al primo provvedimento sulla spending) impegna l'esecutivo a valutare la possibilità di aprire un tavolo di discussione e trattativa con Regioni ed Enti locali per studiare congiuntamente l'effetto che i nuovi tagli produrranno sulla vita amministrativa e sociale delle comunità, valutando contestualmente formule di riequilibrio atte a non danneggiare i servizi e un intervento sul Patto di stabilità per l'esclusione delle spese di investimenti dallo stesso. Mi auguro che il Governo (in particolare il Ministro Giarda ed il Commissario Bondi) alla ripresa settembrina correggano la rotta, riprendendo la via maestra del federalismo fiscale, unica via per ripristinare un criterio di equità e di merito dopo decenni di spesa storica e manovre fatte di tagli lineari.


pubblicata il 09 agosto 2012

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