L'intervista sul voto

03 marzo 2013

intervistaSimonetta Rubinato, rieletta deputata nella circoscrizione Veneto 2, guarda preoccupata alla situazione di stallo che si è venuta a creare nel Paese per effetto del voto degli italiani.

 

Alla vigilia delle elezioni si sarebbe mai immaginata uno scenario di questo tipo?
Devo essere sincera: incontrando tanta gente nel mio comune, a Roncade, ma anche negli incontri e dibattiti sul territorio, partecipando alle iniziative promosse dalle associazioni e categorie economiche, avevo percepito una certa presa di distanza dal Pd e dalle sue proposte. Mentre era forte il richiamo verso il Movimento 5 Stelle. Forse l’euforia per le primarie ci ha illuso che bastasse il contatto con poco più di tre milioni di voti del centrosinistra per sintonizzarsi con l’Italia profonda. Purtroppo non è stato così, nonostante il grande e prezioso lavoro dei nostri volontari.

La mancata vittoria del Pd non l’ha sorpresa quindi?
Come tutti gli altri candidati, mi sono battuta fino all’ultimo giorno per convincere gli elettori che votare Pd sarebbe stata la scelta giusta. Ma, come si è visto, non è bastato. E nell’ultima settimana agli amici e negli incontri sussurravo che, anche se dal partito arrivavano notizie di sondaggi che ci davano quasi alla pari anche in Veneto con il centrodestra, non mi sembrava verosimile, mentre ritenevo credibile chi dava il M5S sopra il 20%. Una previsione purtroppo per noi ottimistica, ma per difetto.

Che cosa ha pesato di più?
Innanzitutto gli scandali che hanno coinvolto una parte della classe politica irresponsabile, il non essere riusciti in Parlamento a fare le riforme che la gente si aspettava, come la legge elettorale, l’ulteriore riduzione dei costi della politica, la lotta alla corruzione. Gli elettori peraltro hanno dimenticato che noi eravamo in minoranza, accumunandoci nelle responsabilità al centrodestra che ha vinto le elezioni nel 2008. Mi sono resa conto poi che, soprattutto per effetto di questa assurda legge elettorale, noi candidati locali siamo stati oscurati e gli elettori si sono fatti un’idea sulla base di coloro che il partito manda sempre in prima linea, in televisione o sui media. In tal senso hanno associato il Pd alle vecchie icone del passato, accompagnate da qualche volto nuovo ma omologato. Mentre dall’altra parte hanno associato l’impeto di Grillo e del Movimento 5 Stelle all’idea del ‘rinnovamento’, anche senza conoscerne i candidati locali. Arrivati in cabina gli elettori, già sfiduciati, hanno aperto una scheda trovandovi decine di simboli di partito e nessuna persona: ciò in Veneto mentre penalizza noi del Pd, in questo momento di antipolitica ha agevolato il M5S. Ma c’è soprattutto un’altra scelta che ha pesato negativamente.

Quale?
L’aver abbandonato la vocazione maggioritaria per la quale il Pd era nato. Che non è pretesa di autosufficienza, né banale auspicio di diventare maggioranza, ma lo sforzo di parlare a tutto il Paese e non solo alla parte tradizionalmente orientata a sinistra. A più riprese l’ho detto e scritto: le elezioni vere in Italia non sono le primarie, i votanti delle prime non sono solo quelli delle seconde. Dovevamo parlare agli elettori, anche non di centrosinistra, anteponendo nostre proposte, coraggiose e innovative, alle alleanze. Non mi pare che l’alleanza con Sel ci abbia portato lontano. Anche perché agli occhi degli elettori, quelli fuori dal recinto, i tanti delusi e sfiduciati (che non sono solo quelli più fragili sul piano sociale ed economico, ma anche quelli capaci e meritevoli), siamo parsi più preoccupati di definire tattiche e posizioni di governo che i problemi quotidiani della gente. Così, mentre la dirigenza volgeva lo sguardo ora a sinistra, ora al centro di Casini o di Monti, non ci siamo accorti che alle spalle arrivava lo tsunami di Grillo.

Una lettura molto critica la sua?
Purtroppo non dipende da me, ma dai fatti. Leggerli in modo obiettivo è necessario proprio per il bene del Partito. Invocare il bene dell’unità per impedire una vera discussione interna non ci porterà lontano. Perché se, in un momento di collasso dell’avversario del centrodestra, non solo non siamo riusciti ad allargare lo steccato del nostro consenso, ma abbiamo addirittura perso, rispetto alle precedenti politiche del 2008, un terzo degli elettori che ritenevamo già acquisiti, l’unica cosa da fare è una sana autocritica.

Lo stesso dicasi per il Veneto?
Qui la delusione è ancor più cocente. Qualcuno sperava che il Veneto diventasse per il Pd quello che è stato l’Ohio per Obama. Ma alla fine abbiamo visto come la distanza tra noi e un Centro-Destra pur malconcio è ancora ampia. Questo significa che agli occhi dei piccoli e medi imprenditori, dei lavoratori autonomi, dei tanti che quotidianamente devono fare i conti con una pressione fiscale record e le complicazioni burocratiche, oltre che con il rischio d’impresa in un momento di grave crisi economica e di accesso al credito, il Pd non è apparso, con le sue proposte e le leadership messe in campo, un’alternativa credibile. Credo, alla luce di quanto avvenuto anche in Lombardia, che la questione settentrionale sia ancor più un tema di attualità da affrontare all’intero del partito: la parte più produttiva del Paese si allontana ulteriormente da noi. Anche se ora è aperta pure una drammatica questione meridionale. E questo mette a rischio la tenuta dell’unità nazionale, oltre a quella della coesione sociale.

Quali prospettive si sente di fare per il governo?
Io non credo ci sia un’agevole via d’uscita alla situazione venutasi a creare per effetto delle scelte di voto degli italiani. Considerate le difficoltà in cui versa il Paese, in modo trasparente e senza inciuci di alcun genere, il Pd si deve far carico di proporre al Presidente della Repubblica un programma di pochi punti: riforma della legge elettorale, legge sul conflitto d’interessi, nuova legge sulla corruzione, ulteriori tagli ai costi della politica e un minimo di misure a sostegno dell’economia e dell’occupazione, come l’allentamento del patto di stabilità, pagamenti dei debiti della Pa alle imprese e finanziamento degli ammortizzatori sociali. Rimettendosi a Napolitano per la scelta del presidente da incaricare al fine di verificare la possibilità di trovare in Parlamento una maggioranza che sostenga queste riforme. E poi, salvo miracoli, ridare la parola agli elettori.

Qualcuno ha già avanzato la richiesta di un nuovo candidato premier?
Credo che addossare tutte le colpe sulle spalle di Bersani non sia né onesto, né giusto, visto che tra l’altro si era messo in discussione con le primarie. C’è un’intera dirigenza che ha condiviso con lui linea congressuale, linea programmatica e campagna elettorale. In ogni caso saranno il partito e gli elettori a decidere, in caso di nuove elezioni, quale sarà il candidato migliore. Una cosa è certa: dobbiamo tenere conto che la campagna elettorale, oggi, si gioca anche sul piano comunicativo e sulla rete. E che su questo campo noi abbiamo perso il confronto con due mostri come Grillo e, dispiace dirlo, come Berlusconi. Renzi era senz’altro più adatto per questo confronto. Ma, ripeto, Bersani aveva vinto le primarie. Dunque occorre aprire una riflessione anche su questo strumento, non per accantonarlo, ma per usarlo bene, tenendo conto che o sono davvero aperte o verranno a votare solo gli elettori già orientati a sinistra, che sceglieranno il loro candidato preferito, che non è detto sia quello che ci consente di conquistare nelle elezioni vere il consenso della maggioranza degli italiani per governare.

 


pubblicata il 01 marzo 2013

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