Più devolution per il Veneto: consensi sulla mia proposta

14 dicembre 2014

Giovedì 11 e venerdì 12 dicembre ho partecipato ai lavori della I Commissione Affari Costituzionali (pur non avendo diritto di voto, non essendone componente), Commissione ha ultimato la discussione sul disegno di legge costituzionale A.C. 2613 e abbinati (tra questi anche il mio disegno di legge A.C. 2423) per la riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione in materia di Regioni, Province e Comuni.

Come ho già dichiarato nei mesi scorsi, sul superamento del bicameralismo paritario sono totalmente d’accordo, è assolutamente necessario realizzarlo, anche perché in un ordinamento regionalista il Senato della Repubblica deve essere lo strumento per portare le istituzioni locali a cooperare nella fase legislativa con le istituzioni nazionali. Il testo approvato dal Senato tuttavia “promette - come ha affermato il costituzionalista Roberto Bin – non un Senato che rappresenti le istituzioni locali, ma piuttosto un Senato che riproduce in loco le divisioni politiche”. Vi rimando alla sua relazione (clicca qui) per i correttivi che sarebbero necessari affinché il nuovo Senato possa essere davvero il luogo della rappresentanza delle Regioni, analogamente al Bundesrat tedesco.

Quanto invece alla riforma del Titolo V, come risulta anche dalle relazioni di autorevoli professori di diritto costituzionale auditi in Commissione (vedi per tutte la relazione del prof. Luca Antonini), “la scelta di fondo di questa riforma consiste in un forte processo di riaccentramento delle competenze, al di là di quelle che ragionevolmente e a giudizio quasi unanime si ritiene debbano essere riaccentrate”. Una scelta a mio avviso che rischia di farci buttar via il bambino con l'acqua sporca, perché quello che è mancato sino ad oggi nell’attuazione della riforma del 2001 è stata l’applicazione del principio di responsabilità, che dovrebbe essere il perno su cui ruota un sistema federalista. Basterebbe chiedere ad un cittadino veneto o dell'Emilia-Romagna se vorrebbe una giustizia amministrata come la sanità o una sanità amministrata come la giustizia: è noto a tutti che la gestione della giustizia, di competenza esclusivamente statale, è stata sino a qui fallimentare, costituendo uno dei gap competitivi che contraddistinguono negativamente il nostro Paese, mentre per la sanità possiamo parlare di un’eccellenza a livello mondiale in alcune Regioni. Ciò dimostra in modo evidente che il riaccentramento delle competenze non è garanzia di un aumento di efficacia dei servizi. A ciò va aggiunta la considerazione che questa riforma si applicherà a tutte le regioni ordinarie, a prescindere dalla loro virtuosità, mentre non si applicherà alle regioni speciali (lo Stato dovrà infatti raggiungere delle intese con loro), per cui questo indirizzo neocentralistico è destinato ad aumentare l’attuale divario tra ad es. la nostra regione e le due regioni speciali che con esse confinano. Da qui la necessità di introdurre alcuni correttivi al disegno di legge.

In primo luogo, la materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (secondo la nuova formulazione dell’art. 117, comma 2, lettera e) viene riportata nella competenza esclusiva dello Stato, con l’effetto di legittimare i tagli lineari per regioni come il Veneto, ma non per il Trentino Alto Adige ed il Friuli Venezia Giulia, che potranno continuare ad esercitare la relativa competenza concorrente in materia, sfruttando le ulteriori deleghe già concesse dallo Stato per attuare politiche fiscali agevolative per le proprie imprese e attrattive di nuove. E con l'effetto altresì paradossale di legittimare ancora meccanismi di governo della spesa pubblica de-responsabilizzanti sia per lo Stato che per gli enti locali, rafforzando la finanza di trasferimento in luogo del federalismo fiscale.

In secondo luogo, vi è il problema della clausola di supremazia (introdotta dalla nuova formulazione dell'art. 117, comma 4, che stabilisce che lo Stato può avocare in via generale a sé anche le materie non riservategli in via esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale) che, così come è costruita, senza distinguere tra le regioni, “rischia di diventare  - secondo il prof. Antonini – una clausola ‘vampiro’, nel senso che qualsiasi materia può essere così accentrata... Se ad es. mettiamo una clausola di supremazia che, per recuperare la sanità della Campania o della Calabria, ricentralizza il modello organizzativo, avremmo distrutto il modello dell’Emilia Romagna, della Toscana e del Veneto, senza recuperare quello della Campania o della Calabria, che si recuperano con il commissariamento e non con il riaccentramento”.

Lo strumento per non buttare via il bambino con l’acqua sporca è quello di un regionalismo differenziato o a geometria variabile, che può consentire di dare, attraverso un negoziato tra singola regione e governo, più autonomia solo alle Regioni in grado di gestirla con responsabilità. Purtroppo, da questo punto di vista, anche l’art. 116 della Costituzione è stato depotenziato, limitando notevolmente le materie a disposizione per l’eventuale richiesta di maggiore autonomia e risorse da parte delle singole Regioni. Questo è un punto di grave contraddizione del disegno di legge, perché mentre la logica della riforma diventa l’accentramento per le Regioni ordinarie, si conserva la differenziazione per le Regioni speciali. Credo che qui si raggiungerà nei prossimi anni un punto di non sostenibilità per il sistema, soprattutto per una Regione come il Veneto.

Da queste considerazioni ho tratto spunto per presentare dapprima un disegno di legge (il A.C. 2423) e poi degli emendamenti al testo del disegno di legge base (clicca qui per leggere tutti gli emendamenti). Ho altresì sottoscritto con le medesime finalità correttive i seguenti emendamenti di altri colleghi: 29.12 (Scotto) 30.5 (Naccarato), 32.9 (Giancarlo Giorgetti), 32.15 (Giancarlo Giorgetti) e 32.18 (Invernizzi) (clicca qui per leggere gli emendamenti).

Giovedì 11 dicembre in Commissione Prima si è aperta la discussione anche sui miei emendamenti, in particolare quello all’articolo 29 (29.5 Rubinato) con cui ho proposto l’allargamento delle materie su cui può avvenire una ‘devolution’ dallo Stato alle Regioni a Statuto ordinario a condizione che presentino idonei indici di virtuosità. La proposta è stata oggetto di un lungo dibattito in Commissione Affari Costituzionali (ripreso anche dall'ANSA) e ha raccolto il sostegno bipartisan di parlamentari di altri gruppi (Sel, M5S, Per l’Italia - Centro Democratico e Lega Nord). Proprio per questo ho accolto l'invito del relatore Francesco Paolo Sisto a ritirare l’emendamento per poterlo riproporre in Aula. Una sua bocciatura, stante il parere negativo di Governo e relatori, avrebbe infatti potuto precludere questa possibilità.  

Illustrando il mio emendamento, ho invocato il principio di autonomia responsabile, da applicare anche alle regioni speciali, e ho proposto di allargare le materie su cui le Regioni ordinarie - che dimostrino idonei indici di virtuosità - possono chiedere maggiore autonomia e risorse ai settori oggi già di competenza delle Regioni a Statuto speciale. Tale innovazione è necessaria per dare una risposta politica, attraverso il regionalismo differenziato, alle realtà regionali più virtuose e per respingere le spinte secessionistiche che sono particolarmente evidenti in Veneto, regione che confinando con due regioni a statuto speciale più di altre soffre le disparità sia nei servizi erogabili ai cittadini, sia nelle condizioni diverse di competitività tra imprese. 

Ho ripresentato in Aula sia questo che gli altri emendamenti con cui ho chiesto l’applicazione dei fabbisogni standard anche alle regioni a statuto speciale e il divieto di nomina come commissari dei presidenti delle Regioni responsabili di gravi irregolarità e cattiva gestione. Saranno discussi nel mese di gennaio. L'obiettivo della mia battaglia è quello di evitare il rischio del verificarsi del paradosso di un “neocentralismo che è in grado di danneggiare i sistemi virtuosi e incapace di recuperare quelli inefficienti", come denunciato in modo efficace dal prof. Antonini.

L’unico mio emendamento posto in votazione in Commissione, ma bocciato, è stato il 29.29 Rubinato (clicca qui), con cui ho chiesto di inserire al primo comma dell’art. 116, tra l’elenco delle regioni a statuto speciale, anche il Veneto, rinviando per l’approvazione del relativo Statuto ad un’apposita legge costituzionale. Come ho spiegato nella discussione, il fine di questo emendamento era quello di ottenere il riconoscimento di un’autonomia speciale alla nostra regione, non in modo strumentale o provocatorio, ma per consentire in un prossimo futuro la fattibilità della sua fusione con almeno una delle due regioni speciali confinanti, ai sensi dell’art. 132 della Costituzione.

Continuerò in Aula la mia battaglia per il rafforzamento del regionalismo differenziato, come strumento utile anche per dare risposta alle istanze di autogoverno della nostra regione, pur mantenendo ferma la mia lealtà nei confronti del Governo presieduto dal nostro segretario Matteo Renzi. Purtroppo devo registrare sino ad oggi una netta chiusura, sia dei relatori che del governo, nel non comprendere la necessità di dare una risposta politica al disagio che manifesta il Veneto, tra crisi economica e sociale, spinte secessionistiche o indipendentistiche, istanze di tanti comuni per passare o al Trentino A.A. o al Friuli Venezia Giulia, accogliendo le legittime istanze di autogoverno del nostro territorio. Del resto, devo ammettere che come parlamentari veneti non stiamo dando prova di forza e compattezza su questo tema.


pubblicata il 14 dicembre 2014

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