Renzi al Pd: «Cambiamo il Fisco o in Veneto non vinceremo mai» - Corriere del Veneto

10 giugno 2015

Pagina 5, Primopiano

Venezia «In Veneto non vinceremo mai, almeno non finché non affronteremo una questione che lì più che altrove si fa sentire, al di là dell’immigrazione: il Fisco. Dobbiamo discuterne in modo serio perché diamo l’impressione di essere seguaci di una linea di sostanziale persecuzione dei cittadini e delle imprese». E questo, in quella terra libertaria e liberista (ben prima che indipendentista) che è il Veneto non va affatto bene. Si perdono vagonate di voti. Il premier Matteo Renzi seziona la cocente sconfitta patita dal Pd alle Regionali, nella cornice della direzione nazionale del partito che vede andare in scena l’ennesimo scontro tra il segretario regionale Roger De Menech e la deputata Simonetta Rubinato. Un vero e proprio flusso di coscienza, che prende le mosse dalla considerazione fatalista del sindaco di Torino Piero Fassino: «La battaglia del Veneto era disperata. Non impossibile, perché abbiamo pur sempre conquistato Treviso, per vent’anni simbolo del leghismo più becero, il che dimostra che i voti si possono prendere anche lì, ma comunque difficilissima perché c’è una questione settentrionale da affrontare, una questione che in Veneto ha la sua massima acutezza». 

Dove stia il problema, prova a spiegarlo Renzi, che non mette sul banco degli imputati Alessandra Moretti (sibillino ricorda che, come tutti gli altri candidati, anche lei è stata scelta con le primarie, senza ingerenze da parte della segreteria, «esattamente come è accaduto a Venezia») e neppure se la prende con chi ha gestito la campagna elettorale, aspetto che fin dal principio ha sollevato la pelle a molti nel Pd del Veneto, tra accuse di indebita ingerenza e di «eterodirezione» da parte degli uomini del premier via agenzia Dotmedia («Vogliamo discutere di come sono state fatte le campagne elettorali? Discutiamone ma preferirei concentrarmi su altri campanelli d’allarme»). Secondo il premier, senza ricorrere al «condonismo berlusconiano», è necessario «mettere mano al più presto, in modo serio, ad un modello fiscale alternativo» che smitizzi lo spauracchio del Fisco-vampiro in perenne agguato. Il rischio, per Renzi, è sennò quello di «non riuscire a parlare mai a determinati ambienti e settori» che poi sono quelli raccontati da Fassino nel suo intervento e cioè il ceto medio borghese dei lavoratori autonomi. Un problema evidenziato anche dal deputato Gianni Dal Moro, attraverso un aneddoto: «Un fatto eclatante, direi. Renzi incontra Rosso della Diesel, che gli dice che lui è il premier più bravo che c’è sulla Terra e lui lo voterà sempre, di qui ai prossimi 10 anni (Renzi, intanto annuisce, ndr .). E però poi, scendendo le scale, Rosso lo avverte: alle Regionali comunque voterò Zaia. Ecco, capite?, qui sta il problema. Che non è il pragmatismo dell’imprenditore del Nordest ma siamo noi, il Pd, che non riesce a tradurre sul territorio il consenso di cui godono il premier e il governo». E se per Renzi la soluzione sta nel Fisco, per Dal Moro sta nel ricambio della classe dirigente: «Va aperta una stagione nuova, occorre un cambio di passo improntato al merito e alla competenza». 

Hanno invece ricette diverse (e ormai non è più una novità), il segretario Roger De Menech e la deputata Simonetta Rubinato, che sfidò Moretti alle primarie e ora invoca con insistenza un congresso «vero». Secondo Rubinato, per combattere quello che Renzi chiama «il leghismo di ritorno, insidioso sull’immigrazione e in sfondamento sui temi dell’economia, con una strategia precisa che non va sottovalutata», c’è soltanto un modo: «Federare il Pd, valorizzando le leadership locali e diversificando la proposta politica» a seconda delle sensibilità sul territorio. «Il Fisco non basta, non è argomento con cui si vincono le amministrative. Parliamo di federalismo e facciamolo attraverso candidature forti, credibili, che non si facciano vedere sul territorio solo in campagna elettorale e non siano scelte con primarie bulgare». Replica De Menech: «Mi sta bene che l’identità territoriale emerga in modo chiaro, che si formi una classe politica nuova in grado di declinare sul territorio le buone riforme fatte a livello nazionale, ma non credo nel partito autonomo con cui si rischia lo scollamento. Occorre una filiera tra quel che si dice a Roma e quel che si fa a Venezia su temi chiave come il Fisco, l’autonomia o l’immigrazione». 

Marco Bonet

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pubblicata il 10 giugno 2015

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