Che si muove (o non si muove) nel Pd veneto dopo le sconfitte delle ultime elezioni amministrative?

25 luglio 2015

Lo scorso 3 giugno durante una conferenza stampa sui risultati delle elezioni regionali, dopo l’analisi degli errori commessi dalla dirigenza del Partito Democratico Veneto, ho auspicato un nuovo inizio attraverso un congresso straordinario, che metta al primo posto la partecipazione dei cittadini per costruire un progetto politico per il Veneto alternativo a quello del centrodestra di Zaia (guarda il video).

Sono poi intervenuta alla direzione nazionale del Pd dell8 giugno per fare chiarezza sull’analisi del voto delle regionali, dando voce anche ai tanti che mi hanno contattata nei giorni successivi alle elezioni (guarda il video). D’altra parte se non si può imputare a Renzi la scelta dei candidati, né in particolare la sconfitta in Veneto, egli ha tuttavia la responsabilità di dare copertura ad una dirigenza (frutto di un congresso unitario tra le correnti) che avendo guidato il partito sul territorio ed essendo responsabile, prima della regia di primarie "bulgare", poi del risultato elettorale peggiore degli ultimi venti anni, è evidente a tutti che non può guidare una fase nuova. Così pure ho trovato sorprendente che chi come Renzi è arrivato alla segreteria del partito, e per questo poi alla guida del Governo, proprio con le primarie, ora le stia rottamando. Certo sono uno strumento per la scelta delle candidature che va regolato meglio ed usato con buon senso, ma non vorrei che questo ripensamento fosse un pretesto per centralizzare le scelte che riguardano il partito a Roma.

Come ho detto in direzione l'8 giugno, temo che a livello nazionale in troppi diano per scontato che in questa regione non si possa vincere, mentre io non mi rassegno. La durissima lezione arrivata dalle urne anche nei ballottaggi comunali dello scorso 14 giugno conferma che esiste per il Pd una questione veneta. Perché in nessun’altra regione sono arrivate così tante sconfitte, tra l’altro in condizioni favorevoli con un centrodestra spaccato, nemmeno nella vicina Lombardia dove il confronto è finito per i Comuni in perfetta parità rispetto alle elezioni precedenti. Siccome tra le opzioni date non c’è quella di cambiare i veneti, non resta che una strada da intraprendere con urgenza: quella di un cambiamento profondo dellidentità del Partito democratico del Veneto in senso autonomista. In un articolo dello scorso 16 giugno su Il Sole 24 Ore, Mariano Maugeri, analizzando le ragioni della ‘sospensione’della luna di miele di Renzi con i ceti produttivi del Nordest, ha rilevato come “uno dei test più elementari degli elettori veneti per riconoscere i candidati di cui fidarsi è la genuinità del pensiero autonomista. Luca Zaia vince anche per questo”. Per essere credibili agli occhi dei veneti, insomma, bisogna dimostrare che c’è coerenza tra quanto si è detto e fatto nella propria storia politica e quanto si annuncia in campagna elettorale.

Il 22 giugno si è svolta quindi la prima direzione del Pd Veneto post elezioni. All’ordine del giorno l’analisi della peggiore sconfitta degli ultimi venti anni. Abbiamo sentito solo le due relazioni del segretario e della candidata alla presidenza: analisi semplicistiche, alla ricerca di scuse, non invece di altre strade per cambiare rotta al Pd Veneto. Nella discussione avvenuta nella successiva direzione regionale del 3 luglio scorso ho apprezzato la chiarezza fatta dal segretario regionale con la presentazione delle dimissioni della segreteria e l'apertura ad un congresso straordinario. Nel mio intervento ho dichiarato che il Pd Veneto non ha bisogno di un commissario esterno, ma di un confronto trasparente che sappia andare a fondo delle questioni per riuscire ad essere finalmente in sintonia con il sentiment dei veneti, che non ho preclusioni inoltre a che la reggenza temporanea sia affidata allo stesso De Menech purché non si faccia melina e il congresso sia convocato entro lautunno, con regole che consentano la massima partecipazione ed un vero confronto. Se vogliamo ricostruire il Partito Democratico del Veneto, il congresso non può essere il riassunto dell’esistente, ma una scelta di discontinuità rispetto ad una linea politica che è stata pesantemente bocciata dagli elettori. Questo è quanto ho ribadito anche al Corriere del Veneto, che mi ha chiesto di commentare le ultime dichiarazioni di Alessandra Moretti in merito alla sconfitta alle regionali (leggi l'articolo)

Dopo la dichiarazione in direzione il 3 luglio scorso delle dimissioni della segretaria regionale mi aspettavo, come da Statuto, la convocazione dellAssemblea regionale del partito, per una discussione approfondita e per la scelta della persona a cui affidare la reggenza fino alla convocazione del congresso straordinario. Invece abbiamo passato ferragosto e tutto tace. Forse gli esponenti più autorevoli delle varie anime/correnti, approfittando del fatto che il segretario nazionale non sarà particolarmente interessato ad aprire in questa fase politica un po' complicata a livello nazionale un congresso in Veneto con un Pd di così poco appeal, stanno valutando se convenga provare a far passare la nottata o se si riesca a far quadrare il cerchio in Assemblea su di una "scelta di garanzia unitaria" o ancora se accettare l'ipotesi di un commissariamento da parte del nazionale.

Così facendo (o meglio non facendo) credo tuttavia che non si stia facendo il bene del Partito Democratico del Veneto. Come dar torto dunque alla spietata analisi di Umberto Curi sul Corriere del Veneto del 28 luglio scorso? Se non l'hai già letta la trovi a questo link: http://corrieredelveneto.corriere.it/padova/notizie/politica/2015/28-luglio-2015/pd-l-abito-non-fa-sconfitta-2301714891747.shtml


pubblicata il 25 luglio 2015

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