Inizio anno scolastico in affanno per la scuola veneta

01 ottobre 2016

Dopo essere intervenuta per prima in estate per sollevare il problema delle carenze strutturali di organici della scuola veneta, presentando il 21 luglio scorso un'interrogazione al ministro Giannini, sottoscritta anche dagli altri deputati veneti del Pd, il 6 settembre scorso ho avuto un lungo incontro con la dirigente dell'Ufficio Scolastico Regionale Daniela Beltrame, alla quale ho chiesto il quadro della situazione della scuola veneta in vista della ripresa delle lezioni. Anche quest'anno la scuola è cominciata in salita per i docenti, i dirigenti, il personale ausiliario e molte famiglie perché gli organici del Veneto, massacrati dalla riforma Gelmini, sono ancora inadeguati a garantire lo sdoppiamento delle classi sovraffollate e la risposta positiva a tutte le istanze di tempo pieno, mancando all'appello 468 posti aggiuntivi dell'organico di fatto, 123 dirigenti scolastici e oltre 400 posti ATA solo per garantire le esigenze fondamentali del servizio. La dott.ssa Beltrame mi ha assicurato che si è cercato di sopperire con l'organico del potenziamento e assegnando spezzoni di ore a docenti già in ruolo. Così pure che, sotto la propria responsabilità e nonostante il diniego del Miur, avrebbe provveduto ad assicurare il funzionamento delle scuole con un numero minimo di posti ATA aggiuntivi (poco meno di 200). Nonostante l'impegno generosamente profuso da lei e da tutta la dirigenza scolastica del Veneto (costretta a un numero abnorme di reggenze in istituti comprensivi che in Veneto sono in molti casi troppo numerosi, per le prescrizioni della riforma Gelmini applicate pedissequamente a suo tempo dalla Giunta regionale), ritengo che si tratta comunque di rimedi anomali e che è necessario cominciare invece a porre rimedio alla storica penalizzazione della scuola veneta.

Purtroppo il pressing mio e di altri colleghi su Ministro, Sottosegretari e dirigenti del Miur si è scontrato con i vincoli di spesa posti dal Mef e soprattutto con la diversa distribuzione dei docenti lungo lo Stivale. La proporzione tra numero di cattedre e numero di insegnanti in Italia l'ha confermata di recente in Aula il Ministro Giannini rispondendo ad una interrogazione: l'80 per cento delle cattedre è a sud di Roma, il 65 per cento dei posti è al nord, perché al nord ci sono più studenti. Un dato oggettivo su cui è tempo di intervenire con il coraggio di affrontare temi e problemi che da decenni sono rimasti sepolti nell'agenda politica del Paese. Per questo a chi in estate ha protestato per la “deportazione” degli insegnanti meridionali al Nord verrebbe da chiedere: con tutto il rispetto e la comprensione per i disagi personali e familiari dei docenti coinvolti, l’alternativa qual è, spostare lungo lo Stivale i bambini e le scuole?

Gian Antonio Stella ha approfondito nel mese di agosto sul CorSera lo squilibrio che da sempre vizia il nostro sistema istruzione, ovvero il gap esistente in un Paese in cui i prof abbondano al Sud mentre gli studenti sono più numerosi al Nord (clicca qui per leggere l'articolo). Un punto sul quale avevo posto anch'io l’accento nell’interrogazione al Ministro Giannini del 21 luglio scorso, in cui chiedevo il rafforzamento dell’organico dei docenti per il Veneto. Allora scrivevo: “Il rischio è che quando il ministero farà il riparto dei 31.000 posti di organico di fatto del personale docente tra i 18 Uffici scolastici regionali, vengano accolte le richieste di chi desidera lavorare vicino a casa, con la conseguenza che le Regioni che già hanno personale in abbondanza potrebbero trovarsi assegnati ancora nuovi posti, mentre il Veneto, che ha personale insufficiente, potrebbe trovarsi nella condizione di dover far ricorso a 'rimedi anomali' per rispettare il contingente assegnato dell’organico di diritto”. Purtroppo questo squilibrio strutturale dopo la riforma Gelmini si è aggravato: mentre il numero degli alunni in Veneto dall’anno scolastico 2009/2010 all’anno 2014/2015 cresceva di ben 31.194 unità, il numero dei posti per i docenti è stato invece tagliato di 4.429 posti! Parlare di ‘complotto’ antimeridionalista, come fanno taluni, è davvero assurdo. Che cosa dovrebbero dire allora le famiglie del Veneto (e non solo) che, non essendoci insegnanti a sufficienza, dovranno accettare ancora una volta classi pollaio fino a 32 studenti o di vedersi negato il tempo pieno? È urgente che si affronti il problema con efficaci misure di riforma del sistema, che abbiano al primo posto il diritto dei ragazzi ad una scuola all'altezza delle sfide formative attuali e non, come fatto nel passato, gli interessi di certa politica e certo sindacato a gestire precarietà e consenso.

I nodi di anni sono così venuti al pettine, al punto che la stessa Cisl Scuola del Veneto, per la prima volta, ci ha convocati come parlamentari il 9 settembre scorso ad un incontro urgente sulle condizioni di grave precarietà con cui si stava aprendo l'anno scolastico nella nostra regione. La segretaria generale, Tina Cupani, ci ha confermato la difficile situazione già rappresentatami dalla dirigente dell’USR Daniela Beltrame, ribadendo che la causa strutturale è nei pesanti tagli della riforma Tremonti-Gelmini, entrata in vigore nel 2008: a fronte di una crescita di 30.750 studenti negli anni scolastici dal 2009 al 2016 sono stati tagliati in Veneto ben 4.569 posti. Con la riforma della Buona Scuola si è tornati ad investire sul sistema scolastico nazionale, ma questa penalizzazione della scuola veneta non è ancora superata, anche perché richiede di modificare gli organici di diritto delle diverse regioni, con un riequilibrio che, se avvantaggia il Veneto, è sfavorevole per altri territori: secondo Cupani sulla base della media nazionale del rapporto alunni-docenti il Veneto avrebbe infatti diritto a 800 insegnanti in più! Così ad oggi, anche dopo l’assegnazione dell’organico di fatto, mancano all’appello almeno 468 posti di docente, 429 posti di collaboratore scolastico e 123 dirigenti scolastici. Risultato: classi sovraffollate sino a 31-33 studenti, anche in casi di presenza di alunni con disabilità, tagli sia del tempo pieno che del tempo prolungato e lungo (riduzione a 27 ore dell’orario scolastico), impossibilità di garantire continuità al bilinguismo e alle ore di laboratorio, mancanza di adeguata vigilanza contro bullismo e droga nei plessi e impossibilità di sostituire il servizio di quelle scuole dell’infanzia paritarie costrette a chiudere a causa dei gravi ritardi nell’erogazione dei contributi statali e regionali.

Anche la scuola paritaria del Veneto è infatti in fortissima difficoltà, in particolare quella dell'infanzia. Per questo il 1º settembre scorso ho voluto essere presente a Conegliano al consueto convegno di formazione promosso all'inizio dell'anno scolastico dalla Fism di Treviso per esprimere la mia solidarietà al personale docente e ai gestori, consapevole che il grave ritardo l nell’erogazione dei contributi da parte di Regione Veneto e del Miur sta mettendo in pesante difficoltà queste nostre scuole che svolgono un servizio pubblico di fondamentale importanza anche per migliaia di famiglie trevigiane. Una situazione che vede molti istituti nell'impossibilità di pagare tutti gli stipendi alle insegnanti e alle direttrici.

Eppure i numeri parlano chiaro: le scuole dell'infanzia paritarie sono in Veneto 1.136 (60% del totale), nel 45% dei comuni veneti è presente solo la materna paritaria, e accolgono 83.500 bambini di età 3-6 anni (66% del totale). Negli ultimi 5 anni si sono persi 8.000 posti per motivi economici (costo retta 150 €/mese vs buono pasto alla statale 90 €/mese) e denatalità, con la necessità di aprire nuove scuole statali, con notevole aggravio di spesa pubblica. Il 30% delle scuole ha anche servizi per la prima infanzia (nidi, micro nidi, spazi cuccioli, sezioni primavera) che accolgono 8.000 bambini di età 15-36 mesi. I dipendenti sono 10.000, di cui 7.000 docenti ed educatrici, oltre 5.000 i volontari coinvolti (per servizi di segreteria, amministrativi, manutenzione, ecc). Con il risultato di avere un costo standard per bambino all'infanzia paritaria in Veneto di 3.000 €/anno (dato da contributo pubblico + retta famiglie) contro il costo standard di 5.739 €/infanzia statale.Se chiudessero le paritarie in Veneto lo Stato dovrebbe spendere 480 mil/anno in più per il servizio infanzia e i Comuni costruire e manutenere gli edifici (quando lo Stato attualmente eroga 500 mil/anno per TUTTE le scuole paritarie italiane di ogni ordine e grado!). Ogni giorno 91.500 bambini vengono accolti nelle scuole paritarie dell'infanzia del Veneto.

Ecco perché, quando sabato 24 settembre scorso il Premier Matteo Renzi mi ha telefonato, gli ho spiegato precisamente questa situazione e gli ho suggerito la necessità di intervenire per affrontare in modo strutturale il problema, nell'interesse delle famiglie venete, ma anche delle casse pubbliche, proponendogli di incontrare anche i rappresentanti di questa realtà nella sua prossima visita a Treviso.

Finalmente alla fine di settembre la procedura per l'erogazione del contributo statale alle scuole paritarie è stata sbloccata, dopo che il 23 settembre scorso il Consiglio di Stato ha respinto (sia pure per motivi formali) l'istanza cautelare con cui Aninsei (l’associazione di categoria degli Istituti non statali privati affiliata a Confindustria) sostiene da tempo l'illegittimità dei criteri di riparto del decreto del Miur, che dà priorità alle scuole paritarie senza fini di lucro. Le nostre scuole dell’infanzia (paritarie e senza scopo di lucro) potranno così ricevere, spero nelle prossime settimane, con gravissimo ritardo, le risorse loro destinate dalla legge di Stabilità 2016 per l'anno scolastico già concluso 2015-2016 (per il Veneto il riparto del Miur prevede circa 60 milioni di euro sui 500 stanziati dal Parlamento nella Stabilità 2016).

La vicenda, che ancora una volta ha messo a serio rischio un servizio pubblico essenziale per centinaia di migliaia di famiglie in Italia, molte del Veneto, e la continuità degli stipendi del loro personale, conferma come la legge sulla parità scolastica, la n. 62 del 2000, non sia più sufficiente a garantire la libertà di educazione e il pluralismo scolastico, riconosciuti sin dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 14 marzo 1984. Governo e Parlamento devono quanto prima approvare una nuova disciplina normativa. O collasserà una parte indispensabile del sistema nazionale dell'istruzione, oltre a rischiare di trovarci davanti alla Corte Europea a rispondere come Stato della violazione dei principi fondamentali europei in materia di scuola pubblica.

Vi propongo di seguito una rassegna stampa sul tema:


pubblicata il 01 ottobre 2016

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