Se l'establishment chiede il cambiamento

12 gennaio 2017

Ho letto con piacere nel suo intervento pubblicato oggi che il consigliere regionale Graziano Azzalin invita il Partito democratico del Veneto a cambiare finalmente passo iniziando a rappresentare i bisogni dei veneti, anche attraverso una nuova opposizione più efficace in Consiglio regionale. Finalmente – viene da dire - qualcuno che sembra rompere lo status quo conservatore ed autoreferenziale nell’establishment e prende coscienza della realtà. Tanto più significativo se viene da chi, consigliere regionale uscente, ha sin qui sempre appoggiato e condiviso le scelte di linea politica e di strategia elettorale che dalle primarie in poi si sono dimostrate fallimentari. Quello che però stride è che non si trae mai le conseguenze di tali premesse e che pervicacemente si porta avanti una strategia di delegittimazione di tutti coloro che non la pensano allo stesso modo. Il tema del referendum sull’autonomia è in questo senso emblematico. Una campagna di delegittimazione fatta di accuse. La prima: chi, come me, appoggia il referendum cerca visibilità. In realtà per quanto mi riguarda quella dell’autonomia è una delle motivazioni per cui mi sono iscritta prima alla Margherita e poi al Pd, avendo entrambi l’autonomia iscritta nella carta dei valori e uno statuto su base federale. Ricordo che, nel 2006 eletta al Senato, accettai di fare parte del gruppo delle autonomie. E, nel 2013, ho ottenuto in Parlamento l’approvazione di un emendamento per favorire l’avvio del negoziato tra Governo e Regione sull’autonomia differenziata (art. 116, terzo comma). E da ultimo, durante l’iter della riforma costituzionale, ho presentato un emendamento per attribuire l’autonomia speciale al Veneto. Peraltro in perfetta sintonia con i movimenti di centro sinistra europei. La seconda accusa è che appoggiando il referendum si fa il gioco di Zaia. Qui si sfiora il tragicomico e la sonora sconfitta alle regionali del 2015 lo sta a dimostrare. Il gioco di Zaia lo fa chi non sa rappresentare i veri bisogni dei veneti e lascia al governatore campo libero per fargli fare un altro goal a porta vuota nella prossima consultazione referendaria, relegando così il Pd all’insignificanza (come ho cercato invano di spiegare nell’ultima assemblea del Pd veneto). In realtà il referendum sull’autonomia è uno strumento di democrazia diretta riconosciuto dalla Corte Costituzionale ai veneti, non a Zaia: non sostenerlo significa tradirli. Infine la terza accusa: il referendum è inutile e comporta uno spreco di risorse. Che cosa dire allora dei 300 milioni di euro buttati in occasione della consultazione referendaria sulle trivelle che ha visto il gruppo consigliare regionale schierarsi a favore? La verità è che senza dare la parola ai veneti nessun partito avrà mai la forza per far approvare una legge che dia al Veneto una vera autonomia, anche finanziaria (ricordo che il farraginoso procedimento prescrive il voto favorevole delle Camere a maggioranza assoluta dei propri componenti). I 14 milioni di euro necessari per dare la parola ai veneti, pari a poco più di 2 euro a cittadino, sono in realtà un piccolo investimento iniziale se pensiamo alle risorse che potranno essere trattenute per rendere più competitivo il nostro territorio.

 

Simonetta Rubinato Parlamentare Pd


pubblicata il 12 gennaio 2017

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