LA PRONUNCIA DELLA CORTE: DALL'ITALICUM ALL'INSTABILITELLUM

27 gennaio 2017

Il 25 gennaio scorso la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale c.d. Italicum, sollevate da cinque diversi Tribunali ordinari. Nel merito, ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno e ha invece accolto le questioni, relative al turno di ballottaggio, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono. Ha inoltre accolto la questione di incostituzionalità relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione e sopravvive comunque, allo stato, il criterio del sorteggio. "La legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione", ha affermato la Corte Costituzionale.  

La sentenza della Corte Costituzionale regala quindi all'Italia un sistema elettorale per la Camera immediatamente applicabile, come non poteva non essere, ma che diverge in più punti da quello del Senato. Quest'ultimo è quello uscito dalla precedente sentenza della Consulta (n 1 del 2014), chiamato nel linguaggio giornalistico Consultellum proprio perché scritto dai 15 giudici costituzionali. Quella sentenza dichiarò illegittimi alcuni punti del Porcellum lasciandone in vita altri. Il Parlamento ha poi approvato nel maggio 2015 una nuova legge elettorale per la sola Camera (l'Italicum), da cui la Corte ha oggi espunto il ballottaggio.
    
Ecco i due sistemi che sono oggi in vigore. 

SENATO: sistema proporzionale puro, con una soglia su base regionale dell'8% per le coalizioni o i partiti che corrono da soli, e del 3% per i partiti all'interno delle coalizioni. E' prevista la preferenza unica. Ogni collegio ha ampiezza regionale, anche nelle Regioni più popolose (Lombardia, Campania, Lazio, Sicilia, ecc) il che rende difficile e onerosa la caccia alle preferenze.
   
CAMERA: è un sistema proporzionale ma con un premio alla singola lista che supera il 40% (il premio non scatta per le coalizioni). In caso di mancato raggiungimento di questa soglia, si passa al riparto proporzionale tra tutti i partiti che hanno superato il 3%. Una volta stabiliti quanti deputati spettano complessivamente a ciascuna lista, attraverso un complicato algoritmo i numeri vengono proiettati su 100 collegi plurinominali, in ciascuno dei quali vengono eletti tra i 5 e i 7 candidati. In ogni collegio i partiti presentano dei listini di 5-7 nomi: il primo candidato è bloccato (viene cioè eletto automaticamente se per quel partito scatta il seggio), mentre per gli altri c'è la preferenza. L'elettore ha a disposizione due preferenze, ma solo se vota un uomo e una donna, altrimenti si deve accontentare di una sola preferenza . Ci si può candidare come capolista in più collegi (fino a dieci). Se si viene eletti in più di un collegio, verrà tirato a sorte quello in cui il candidato viene dichiarato eletto. 

OMOGENEITA': alcuni sostengono che i due sistemi non sono omogenei - come ha chiesto il presidente Mattarella - perché per il Senato è un proporzionale puro, mentre per la Camera viene reso maggioritario attraverso il premio. Inoltre per il Senato sono previste le coalizioni, cosa non previste nel sistema della Camera (anche se una lista può essere composta da più partiti che si presentano insieme sotto un unico simbolo, come fu per l'Ulivo, rinunciando al proprio). Altri sottolineano invece che entrambi hanno un impianto proporzionale, e che al premio della Camera corrisponde in Senato la soglia dell'8%, che rende maggioritario anche quel modello. 

Resta la curiosità, in attesa delle motivazioni della sentenza, di conoscere la ratio giuridica che ha portato la Corte alla dichiarazione d’incostituzionalità del doppio turno (visto che comunque esiste per l’elezione dei sindaci ed è un meccanismo che dà un maggior potere nella scelta di chi governa agli elettori) e a salvare invece la possibilità dei capilista bloccati. Due esiti che personalmente non mi piacciono. In particolare sul secondo punto leggi l'articolo al seguente link: In Edicola sul Fatto Quotidiano del 27 gennaio: il Porcellinum, 3 deputati su 4 nominati dai capi e non eletti - Il Fatto Quotidiano

Ciò che in ogni caso appare chiaro sin d’ora - come spiega Francesco Morosini nel suo articolo di approfondimento su Ytali: https://ytali.com/2017/01/27/italicum-la-parole-della-consulta-sono-azioni/ - è che la sentenza della Corte “ha deciso l’incostituzionalità del ‘cuore politico’ dell’Italicum: il doppio turno. (…) Cade così la filosofia costitutiva e il senso politico dell’Italicum medesimo: ovvero, la sua idea di democrazia governante, con elementi dis-rappresentativi (il premio), ma con un cuore sostanzialmente proporzionalista, quindi ugualmente capace di rappresentare l’opinione del corpo elettorale. (…) Va detto peraltro che, prima della sentenza, il fatto decisivo che ha affondato l’essenza politica dell’Italicum stesso è stato il NO al referendum costituzionale”: possiamo dire che “la Consulta, quasi fosse un medico, si sia limitata a constatarne il decesso”.

In realtà, il premio resta, ma ora è conseguibile al primo (ed unico) turno solo qualora la lista vincente raggiunga il quaranta per cento dei suffragi. Ne deriva, essendo assai improbe le coalizioni (se non dopo il voto) e difficile il traguardo del quaranta per cento necessario al premio (a oggi PD, M5s, Lega, Forza Italia hanno sia voti “reali” – varie elezioni  – che rilevati dai sondaggi attorno al trenta per cento) che abbiamo di nuovo, come nella Prima Repubblica, un sistema elettorale (in teoria) più orientato al proporzionale che al maggioritario e che rafforza (in teoria) il ruolo del Parlamento rispetto all’Esecutivo.

E’ vero che sia l’Italicum del dopo sentenza che il Consultellum (due leggi elettorali di fatto scritte più dalla Consulta che dal legislatore, fatto che aggrava l’incapacità della politica) presentano delle differenze bypassabili rapidamente e che, addirittura, già si potrebbe votare con esse: ma a patto, però, di accettare il rischio di avere maggioranze opposte tra Montecitorio e Palazzo Madama. Insomma, ha ragione il prof. Roberto D’Alimonte (il suo articolo a questo link: Nuove regole di voto, governabilità più lontana - Il Sole 24 ORE) quando afferma che ora il Belpaese rischia uno status potenzialmente paralizzante. 

Condividiamo quindi la conclusione del prof. Morosini: “dopo la sentenza della Consulta, ma soprattutto per effetto dell’esito referendario, la questione di dare stabilità di governo alla Penisola resta irrisolta; anzi, resta la preoccupazione che il sistema politico italiano spiaggi come una balena che abbia perso il senso d’orientamento. Inoltre, anche senza eccedere in pessimismo, resta che, con tutta probabilità, le future elezioni per il Parlamento riconsegneranno la decisione sul governo del Paese, se non si adotterà un proporzionale almeno corretto, dai cittadini elettori alle segreterie dei partiti; con i primi, more antico, al massimo a distribuire le carte (i voti) alle seconde. Avanti tutta verso la Prima Repubblica, quindi. Salvo, naturalmente, che qualche tsunami politico, interno o internazionale che sia, non scompagini alla radice il tavolo di gioco della politica nostrana. Possibile.

Ora la palla passa ai partiti e ai loro leader: saranno all’altezza del senso di responsabilità che esige la situazione del Paese?

Personalmente confido nella saggezza del Presidente della Repubblica.


pubblicata il 27 gennaio 2017

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