Vvox, Rubinato: «decreto sicurezza, sui profughi più spot che soluzioni»

22 gennaio 2019

I cittadini hanno assistito nei giorni scorsi sul decreto sicurezza alla polemicamassmediatica tra i sindaci guidati da Leoluca Orlando e Luigi De Magistris e il ministro dell’Interno Matteo Salvini, con proclami e slogan altisonanti da una parte e dall’altra, utili a compattare le rispettive fazioni e ad alimentare lo scontro politico. Ma non a dare risposte efficaci alla gestione dell’immigrazione.

Rilevo innanzi tutto che, per quanto il decreto legge n. 113/2018 susciti più di una perplessità rispetto alla conformità di alcune sue norme alla Costituzione e sollevi più di un dubbio anche sul fatto che garantirà agli italiani maggiore sicurezza, altrettanta perplessità desta la disobbedienza dichiarata in via generale a norme vigenti da parte di sindaci che pretendono di sindacarne la costituzionalità, prerogativa che è della sola Corte costituzionale. La patologia istituzionale è la stessa di quando Salvini invitava i sindaci a disobbedire alle norme sulle unioni civili.

Ma sono davvero fondate le ragioni alla base dei clamorosi annunci di sospensione dell’applicazione del decreto sicurezza? Nel mirino di sindaci e presidenti di Regione c’è in particolare l’articolo 13, che reca disposizioni in materia di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. L’assunto è che, negando ai richiedenti asilo la possibilità di ottenere la residenza, impedisce loro di beneficiare dei servizi erogati sul territorio e dunque viola i diritti umani. Assunto che però è destituito di ogni fondamento.

Vediamo perché. L’art. 13 stabilisce che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo «non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica». Ma la preclusione è in realtà solo “apparente”, come hanno spiegato due avvocate, Daniela Consoli e Nazzarena Zorzella, in un recente saggio pubblicato sul sito dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione.

Il decreto sicurezza non pone infatti alcun divieto esplicito (che sarebbe peraltro in aperto contrasto con i principi generali in materia di immigrazione, non oggetto di modifica): semplicemente si limita ad escludere che la particolare tipologia di permesso di soggiorno motivata dalla richiesta di asilo possa essere documento utile per formalizzare la domanda di residenza. Le due giuriste sostengono tuttavia sia possibile colmare questa lacuna in via interpretativa e comunque, se non fosse interpretata in questo senso, la norma dovrà necessariamente essere rinviata alla Corte Costituzionale.

Ma, e questa è la cosa più rilevante sul piano dei diritti, il richiedente asilo può avere accesso, anche in assenza di residenza e quindi sulla base del solo domicilio, a tutti i servizi offerti dal sistema locale (iscrizione al servizio sanitario, accesso al lavoro, iscrizione scolastica dei figli, misure di accoglienza).

È lo stesso art. 13 a stabilire infatti che «l’accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo del domicilio» eletto in sede di presentazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Il richiedente asilo ha dunque diritto a tutte le prestazioni erogate sul territorio comunale sul presupposto del soggiorno, anche ove non fosse riconosciuta la residenza.

Compresi i servizi offerti da soggetti privati (banche, poste, assicurazioni, agenzie immobiliari, etc.): nessuna norma prevede infatti che per accedervi venga esibito il certificato di residenza, bastando un documento di riconoscimento. E il permesso di soggiorno per richiesta di asilo secondo l’art. 13 del decreto Salvini «costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445».

Che senso ha allora – chiedo al Ministro Salvini – impedire l’iscrizione anagrafica del richiedente asilo? Non è meglio sapere dove si trovano le persone piuttosto che non saperlo? L’obiettivo dell’Anagrafe è proprio questo, essendo un registro di dati sul luogo in cui si trovano le persone, dati di cui è titolare proprio il ministero dell’Interno. Il vero problema non sta a monte, nell’iscrizione all’anagrafe, ma a valle, quando al richiedente asilo è respinta la richiesta (esito favorito dall’attuale politica di Salvini) ma egli continua a restare irregolarmente in Italia visto che i rimpatri anche con questo governo non sono aumentati.

Simonetta Rubinato
Presidente “Veneto Vivo”


pubblicata il 22 gennaio 2019

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